The
concept of “melting pot of cultures” perfectly suits Medieval Iberian
courts, especially Alfonso X’s. The linguistic, cultural and artistic
pluralism of the Christian court embedded in the Andalusian culture gave
rise to an experience of cultural integration and confluence which was
obviously contested by the papacy, it contradicting the spirit of
crusades and enabling the Wise King to be a protagonist to the detriment
of ecclesiastical powers. In this context, great works of art were born
as an expression of the various artistic and cultural movements or,
less often, of the fusion of coexisting cultures in the Iberian
peninsula. That is the case of Cantigas de Santa María.
Ensemble Calixtinus
medieval.org
margutte.com (English)
Digressione Music DCTT 19
2012
1. Poi-las figuras fazen dos santos [6:07]
CSM 136
2. Niun poder d'este mundo [7:33]
CSM 165
3. Todo logar mui ben [4:02]
CSM 28
4. Ben com' aos que van per mar [8:38]
CSM 49
5. Sobre los fondos do mar [7:11]
CSM 193
6. Gran fe devia [3:37]
CSM 187
7. Gran poder a de mandar [4:42]
CSM 33
8. Tushy al-m'sarki [4:55]
9. Des oge mais quer'eu trobar [10:15]
CSM 1
Ensemble Calixtinus, strumenti
Giovannangelo de Gennaro, viella, kamanché e organistrum
Christos Barbas, nay, bansuri, gaita, mostoles flute
Peppe Frana, oud, chitarrino, robab, arpa
Adolfo La Volpe, oud, saze
Pippo D'Ambrosio, duff, riqq, darbukka, tabor e organistrum
Faraualla, voci
Gabriella Schiavone
Maristella Schiavone
Terry Vallarella
Serena Fortebraccio
Foto della porta: Jean-Luc Defromont
Foto del mare: Carlo Scaglioso
Registrato, Mix & Mastering c\o Crescendo Studio, (Bari Aprile 2012)
Gli strumentali dei brani Des oge mais quer’eu trobar e Gran poder a de mandar sono stati composti da Christos Barbas.
Contemplare significa portare dentro di sè qualcosa che giace fuori; Contemplare significa indagare la mente per conoscere la verità delle cose; Contemplare
significa tentare di diventare tutt’uno con l’oggetto stesso
dell’osservazione. È insieme movimento e stasi, immobilità e frenesia,
atto dinamico e interattivo. Digressione, è un progetto che
intende condividere un guizzo di bellezza e permettere di decodificare
insieme, attraverso il suono, il corpo, i colori, le tracce che ci
permettono di guardare oltre, di guardare dentro, di “rimettere le ali
all’anima”.
www.digressionemusic.it © & ℗ 2012 - DCTT19
DIGRESSIONE MUSIC Etichetta · Editore musicale
DIGRESSIONE CONTEMPLATTIVA Associazione Culturale
Direttore Artistico Girolamo Samarelli
Le Cantigas de Santa Maria nell’Adriatico di Bisanzio
Carmen Julia Gutiérrez
Il
concetto di fucina di culture si adatta perfettamente alle corti
iberiche del Medioevo e in particolare a quella di Alfonso X. Il
pluralismo linguistico, culturale e artistico della corte cristiana
innestata sulla cultura di Al-Andalus dà come frutto un’esperienza di
integrazione e confluenza culturale, ovviamente osteggiata dal papato,
sia perché contraria allo spirito delle crociate che per l’eccessivo
protagonismo del re saggio. In questo ambiente nacquero grandi opere
d’arte espressione delle diverse correnti culturali o artistiche o, in
casi isolati, della fusione tra tutte le culture che convivevano durante
questo periodo nella Penisola Iberica; è il caso delle Cantigas de Santa Maria.
Alfonso
X di Castiglia, figlio di Fernando III e di Beatrice di Svevia,
bisnipote di Fernando II di León e Alfonso VIII di Castiglia e degli
imperatori Federico Barbarossa e Isacco di Bisanzio, discendente di
Alfonso VII di León, detto “l’Imperatore”, di Eleonora d’Aquitania e di
Enrico II d’Inghilterra, fu un uomo di grande curiosità e vivacità
culturale, inculcategli probabilmente da sua madre, che a sua volta
aveva ricevuto un’educazione raffinatissima presso la corte siciliana di
Federico II Hohenstaufen. Attribuí grandissima importanza alle lettere e
alle arti sostenendo tenacemente l’affermazione della lingua
castigliana con un gran programma di traduzioni e revisioni di opere di
matematica, astronomia, storia, diritto e letteratura. La sua corte fu
un luogo d’incontro tra saggi, eruditi e artisti; vi soggiornarono a
lungo diversi trovatori, tra cui Gonzalo Eanes, Airas Nuñez o Guiraut
Riquier, che visse a corte tra il 1269 e il 1279.
Le Cantigas de Santa Maria
furono l’opera preferita da Alfonso X il Saggio tra tutte quelle che
promosse durante il suo regno. La loro importanza risulta evidente sia
per il gran numero di canzoni che contengono (più di quattrocento) che
per il fatto di essere un repertorio programmaticamente copiato nello scriptorium
reale per vent’anni di seguito. Inoltre, i manoscritti nei quali sono
conservate, sono una preziosissima fonte d’informazione per la notazione
semimensurale nella quale sono trascritte e per le migliaia di
miniature che rappresentano gli usi e i costumi, i luoghi, gli ambienti,
le persone, la moda, gli strumenti e le danze. È un corpus musicale di
enorme rilevanza e interesse.
Le Cantigas furono trascritte nello scriptorium di Alfonso come una specie di work in progress,
visto che il lavoro fu iniziato con una serie di bozze che diedero
luogo a una prima versione di un libro di cento composizioni, che fu
seguito da una serie di nuove versioni, contenenti sempre più un maggior
numero di componimenti, seguendo le impostazioni perfezioniste e
compilatorie del re. Le stesse fonti iconografiche testimoniano questo
processo che risale all’ultimo terzo del XIII secolo. Nella miniatura
del foglio 4v del manoscritto T viene ritratto il re che lavora allo scriptorium ad una bozza delle Cantigas tra i suoi collaboratori, ai quali mostra un fascicolo con il Prologo. Il primo codice delle Cantigas
fu copiato probabilmente tra il 1264 e il 1269 e conteneva la
trascrizione di cento canzoni, secondo quanto si dice nello stesso Prologo:
“Pois que el Rey fez cen cantares” (To, f. 1). Il manoscritto originale
non si conserva, ma è possibile che il manoscritto To ne sia una copia,
poiché contiene cento cantigas e un’appendice, e venne copiato quasi
sicuramente alla fine del XIII secolo o all’inizio del XIV (come
dimostra Laura Fernandez 2009). Questo spiegherebbe errori e
incongruenze che altrimenti sarebbero di difficile comprensione se se ne
ipotizzasse la provenienza diretta dallo scriptorium di Alfonso ed essendo il codice più antico ad oggi conservato.
L’edizione successiva delle Cantigas
fu un libro sontuoso diviso in due volumi (i manoscritti T e F) nei
quali vennero trascritte quattrocento cantigas. Il manoscritto T,
composto da duecento cantigas e chiamato il “Códice Rico”, è stato
probabilmente copiato intorno al 1280, mentre F, che ne conteneva
altrettante, è rimasto incompiuto e senza musica, e fu interrotto
probabilmente a causa della morte del re nel 1284. Questi due libri
furono concepiti per l’uso personale dello stesso Alfonso, che ne
portava sempre con sé un esemplare, come ci indica la cantiga 209: il
libro lo curò da una malattia durante un soggiorno a Vitoria.
Il
manoscritto E, copiato dopo il 1282 è il più completo di tutti; esso
include tutte le Cantigas ed è un’opera che rappresenta in maniera
perfetta il lavoro dello scriptorium di Alfonso; è probabile che
fosse stato concepito per rimanere nella Cappella Reale di Siviglia,
secondo quanto espresso dal re nel suo testamento: “che i libri dei
Canti dei Miracoli e di Lode di Santa Maria vengano conservati nella
chiesa dove il nostro corpo sia sepolto e che si facciano cantare nelle
feste di Santa Maria e Nostro Signore”. Il manoscritto E è noto come il
“Códice de los Músicos” per il gran numero di miniature, risultate in
seguito molto utili per risalire alle possibili interpretazioni delle
Cantigas, che rappresentano cantanti e giullari con strumenti musicali.
La mise en page dei manoscritti (soprattutto T/F e E) è
straordinariamente accurata, così come la loro organizzazione
interna. Dopo il Prologo
tutte le cantigas sono numerate e ordinate secondo lo schema che ad
ogni dieci cantigas che narrano miracoli della Vergine segue una di lode
(“cantiga de loor”) dedicata alla figura mariana, nella quale si
raccontano le sue virtù e gli episodi della vita. Inoltre le miniature
che accompagnano le cantigas nei manoscritti istoriati - che riportano
fatti e luoghi reali o possibili e della cui veridicità non c’è da
dubitare - dimostrano che la loro interpretazione si realizzava con
gruppi vocali e strumentali e che gli interpreti (uomini e donne) erano
indistintamente arabi, ebrei o cristiani. Questo conferma la presenza
dei diversi influssi presenti nell’opera, sia a livello letterario che
pittorico e musicale. Se da una parte facilmente si scorgono gli
influssi francesi (specialmente nei testi e nella composizione
dell’opera), dall’altra si avvertono elementi islamici o bizantini
(numerosi personaggi bizantini frequentarono la corte di Alfonso, la cui
nonna era figlia dell’imperatore di Costantinopoli), o anche italiani.
Relativamente a questi ultimi conviene ricordare che è documentata la
presenza di artisti e traduttori italiani presso la corte di Alfonso,
alcuni dei quali forse provenienti dalla scuola pittorica della corte
siciliana degli Staufen, chiusa nel 1266 alla morte del reggente
Manfredo, il cui successore, con il titolo di Re dei Romani, fu proprio
Alfonso. Ciò spiegherebbe la presenza di elementi italiani riconoscibili
in alcune miniature, così come le stesse Cantigas di ambiente italiano.
Anche
nella musica delle Cantigas sono riconoscibili diversi influssi: la
notazione è ispirata ai modelli francesi diffusi in tutta Europa, i temi
trattano di personaggi e luoghi di tutto il mondo conosciuto, le
melodie presentano citazioni di opere liturgiche (Dies irae: cantiga 350), religiose (“Canto de la Sibila”: cantiga 422; prosa Aeterni numinis de Hu: cantigas 85 e 171; rondellus Fidelium sonet di Fi: cantiga 290) e profane, oltre a - senza dubbio - echi di musiche popolari che non siamo in grado di documentare.
Le Cantigas
presentano infine un profondo influsso della musica andalusa nella
forma e nel ritmo, ovvero negli aspetti che distinguono questo
repertorio dalle altre tradizioni occidentali, rendendolo più originale.
Secondo Ferreira (2000) il ritmo delle Cantigas sarebbe
fondamentalmente arabo, basato sulla periodicità, impossibile da
trascrivere nel sistema francese dei modi ritmici e simile a quello
espresso dai teorici arabi, come Al-Farabi (ritmi ciclici quaternari con
sincopi e prolungamenti). La forma delle Cantigas sarebbe invece indigena (ispanica), proveniente dalla tradizione della moaxaja e dello zéjel,
che sembra aver dato luogo a due tipi basilari di schema formale: il
virelai (con molte varianti) AA // BBB AA, AB // CCC AB e un tipo
particolare di rondò che Ferreira denomina “rondò andaluso” AB // BBB
AB, ( ... ) AAA BA. Nelle Cantigas appaiono inoltre altre forme
musicali tra le quali va citato per numero di esempi il rondò francese
AB //AAAB. Tuttavia la maggior parte delle cantigas (circa il 90%) hanno
la forma del virelai o rondò andaluso, forme che, o erano sconosciute
nel resto d’Europa (rondò andaluso), o furono conosciute nella Penisola
Iberica molto tempo prima che altrove (in Francia il virelai è ignoto
fino al 1300, cosa che fece supporre a Willi Apel (1954) l’origine
spagnola di questa forma). Ferreira (2011) osserva inoltre che le forme
musicali “autoctone” si mantengono costanti nella loro ricorrenza nelle
fonti, mentre nei manoscritti più moderni diminuisce l’uso delle forme
francesi.
Tutti questi dati ribadirebbero che un ruolo fondamentale, ai fini di uno studio serio e di una corretta interpretazione delle Cantigas,
lo svolge l’elemento arabo-andaluso che non deve avere una semplice
funzione ornamentale, sovrapponendo alle trascrizioni di Anglés
strumenti e costumi arabeggianti simili a quelli che si vedono nelle
miniature, ma deve avere una profonda conoscenza dei ritmi e delle
strutture, ciò che in questa registrazione hanno dimostrato di avere l’Ensemble Calixtinus e il gruppo vocale delle Faraualla.
Partendo dallo studio approfondito delle fonti e dalla conoscenza degli
strumenti e dei repertori mediterranei e arabi, dunque, hanno
ricostruito un’atmosfera multiculturale ricca e varia nella quale si
intrecciano perfettamente le voci delle Faraualla, voci che con
il loro dominio delle espressioni vocali di differenti etnie e culture
riflettono nel disco la naturalezza del canto di un repertorio vivo, al
quale ci avvicinano in modo potente. Un aspetto da sottolineare di
questa interpretazione è il ritmo, inteso non solo come semplice
accompagnamento della melodia, ma come asse fondamentale del movimento
melodico, che lo rende adatto persino alla danza. Non a caso numerose
miniature mostrano riti sacri nei quali la danza assume un ruolo
principale.
Il repertorio scelto per questa registrazione
comprende un brano strumentale, sette cantigas di miracoli - quasi tutte
di tema orientale - e una di lode, la maggior parte delle quali sono
inedite. Le cantigas dei miracoli hanno tutte la caratteristica forma
musicale del virelai, mentre quella di lode è l’unica senza ripetizioni.
I canti sono accompagnati da preludi strumentali ispirati alle musiche
del Mediterraneo che servono da filo conduttore e allo stesso tempo
rimandano all’unico brano strumentale TUSHY Al-M’sarki di tradizione marocchina proveniente dal repertorio delle Nubas, musica colta dell’Al-Andalus.
In
tutte le cantigas dei miracoli, dopo l’introduzione del contesto, si
narra la storia dell’intervento divino; così, nella cantiga 136 Poi-las figuras fazen dos santos,
ci troviamo nella città di Foggia, in Puglia, dove una donna tedesca,
infuriata perché non vinceva mai ai dadi, lancia una pietra contro il
volto di un’immagine di marmo del Bambino Gesù. La Vergine, che
sosteneva il Bambino, nel sollevare il braccio per proteggerlo, viene
ferita e dunque la sua statua lesionata. Il re (Corrado) castiga la
donna e incarica a un artista la riparazione dell’immagine, cosa che
però non riesce ad essere compiuta, dove il buco insanabile nella pietra
della statua rimane in ricordo dell’offesa. Questo discorso
anti-iconoclasta non è un caso isolato nel repertorio delle Cantigas, sembra infatti che il re fosse un gran devoto delle immagini sacre. D’altro canto, questo
miracolo,
come gli altri che appaiono nel resto delle cantigas di ambiente
italiano, non è citato da nessuna raccolta anteriore, ma sembra
piuttosto appartenere alla tradizione orale.
Nella cantiga 165 Niun poder d’este mundo
si racconta che Santa Maria difese con soldati celestiali le città di
Tortosa, in Siria, dal poderoso sultano Bondoudar e che questi rinunciò
all’assalto essendo cosciente del potere divino. Nelle scene che
illustrano questa cantiga possiamo riconoscere delle similitudini già
segnalate da Gonzalo Menéndez Pidal, con dei manoscritti islamici nei
quali si rappresentano sfide belliche e più precisamente con un
manoscritto del 1237 della Scuola di Bagdad (FPn, ms. arabo 5847).
La cantiga 28 Todo logar mui ben
narra come la Vergine, grazie alle suppliche di San Germano e altri
fedeli, difese Costantinopoli dal sultano di Siria. Il sultano chiese
aiuto a Maometto alzando gli occhi al cielo e vide la Vergine difendere
le muraglie distrutte della città con il suo manto e ricevere ferite
nella sua stessa persona, ragione per la quale, commosso, entrò in città
e chiese di essere battezzato. Nell’interpretazione di questa cantiga,
con un ritmo molto sostenuto, si adoperano come accompagnamento la
cornamusa e la ciaramella, che dà al brano un colore che ricorda la
musica popolare della Spagna settentrionale.
La cantiga 49 Ben com’ aos que van per mar
racconta la storia di un gruppo di pellegrini che si dirige verso la
chiesa di Soissons e a causa del buio della notte si smarrisce nella
montagna, ma la Vergine lo conduce a destinazione sano e salvo. In
questa canzone si realizza una polifonia parallela nel ritornello,
attraverso un crescendo vocale, mentre la strofa narra la storia in
forma monodica. A volte i manoscritti sembrano dare testimonianza
dell’uso della polifonia parallela nelle cantigas; nel manoscritto T, ad
esempio, in varie occasioni determinati passaggi sono scritti in 5ª
superiore diversamente dal manoscritto E.
La cantiga 193 Sobre los fondos do mar
narra il miracolo che la Vergine fece salvando un mercante che era
stato derubato e lanciato in mare da una delle navi del re Luigi di
Francia, durante il suo viaggio a Tunisi con i crociati. Preceduta da
una lunga introduzione strumentale, si interpreta con un ritmo diverso
da quello trascritto da Anglés, secondo le durate indicate nelle fonti
originali con le indicazioni di Geronimo di Moravia, vicine alle
formulazioni ritmiche arabo-andaluse. Nelle strofe si introduce
occasionalmente la polifonia.
La cantiga 187 Gran fe devia om’ aver en Santa Maria
racconta che la prima chiesa di Siria era stata in precedenza una
sinagoga e che, per ordine della Vergine, vi si era costruito un
monastero. In un’occasione i monaci erano stati sul punto di
abbandonarlo per la mancanza di alimenti, ma, dopo aver pregato tutta la
notte, la Vergine riempì il loro granaio. In un’altra occasione ci fu
una grande carestia, e di nuovo grazie alle orazioni, la Vergine
concesse loro una grande quantità d’oro, il che dimostra che la fede in
Santa Maria può salvare l’uomo da ogni male.
La Cantiga 33 Gran poder a mandar
narra di una nave che trasportava oltre 800 pellegrini verso Acre e
naufragò a causa di una tempesta. Alcuni passeggeri, tra i quali un
vescovo, si imbarcarono su di una scialuppa di salvataggio, ma uno di
loro inciampò tentando di raggiungerla e cadde in mare. Quando i
sopravvissuti raggiunsero la riva scoprirono che l’uomo che era caduto
in acqua li aspettava lì e che narrò loro che la Vergine l’aveva
salvato; infatti, come recita il ritornello, gran potere ha su tutti gli
elementi la Madre di colui che li creò.
L’unica cantiga di questo disco che non racconta un miracolo è la numero 1,
Des oge mais quer’ eu trobar, una
cantiga di lode che è inoltre l’unica a non avere la caratteristica
forma del virelai; e infatti le eccezioni alle forme musicali ispaniche
riguardano solitamente queste cantiche di lode. Si tratta di un brano
senza ripetizioni strutturali - anche se si riprende materiale melodico
da una frase all’altra -, secondo lo stile delle canzoni di amor
cortese, aspetto che si collega anche all’uso di forme “francesi”. La
canzone comincia secondo la maniera cortigiana, dicendo che il trovatore
da quel momento comporrà solo per la sua Dama, per poi narrare le sette
gioie della Vergine.
Manoscritti citati:
To — Madrid, Biblioteca Nacional, ms. 10069
T — Madrid, Monasterio de El Escorial, ms. T.i.1
F — Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Banco Rari 20
E — Madrid, Monasterio de El Escorial, ms. b.i.2
Hu — Burgos, Monasterio de las Huelgas Reales, Codex Las Huelgas
Fi — Firenze, Biblioteca Laurenziana, pluteus 29.1
Bibliografia citata:
— Apel, Willi: “Rondeaux, Virelais, and Ballades in French 13th-Century Song”, in Journal of the American Musicological Society, 7, 1954, pp. 121-30.
— Asensio, Juan Carlos: “Liturgia, paraliturgia y
formulación melódica en las Cantigas de Santa
Maria”, Cantigas de Santa Maria de Alfonso X el Sabio Rey de Castilla. II. Estudio,
Fernández Fernández, Laura; Ruiz Souza, Juan Carlos, eds.
Madrid, Editorial Testimonio, 2011, 2 vols., pp. 207-231.
— Fernández, Laura: “Cantigas de Santa Maria: fortuna de sus manuscritos”, Alcanate VI, 2009, p. 323-348.
—
Fernández, Laura: “Este livro, com’ achei, fez á onr’ e á loor da
Virgen Santa Maria. El proyecto de las Cantigas de Santa Maria en el
marco del escritorio regio. Estado de la cuestión y nuevas reflexiones”,
Cantigas de Santa Maria..., op. cit., pp. 45 a 78.
— Ferreira, Manuel Pedro: “Andalusian Music And The Cantigas De Santa Maria”, Cobras e Son: Papers on the Text, Music and Manuscripts of the “Cantigas de Santa Maria”. Edited by Stephen Parkinson, Oxford, 2000, pp. 7-19.
— Ferreira, Manuel Pedro: “A música no Códice Rico: formas e notaçao”, Cantigas de Santa Maria..., op. cit., pp. 189-204.
The Cantigas de Santa María in Byzantium Adriatic
Carmen Julia Gutiérrez
Alfonso
X of Castile, son of Ferdinand III and Beatrix of Swabia and
great-grandson to Ferdinand II of León and Alfonso VIII of Castile, as
well as geat-grandson of the emperor Frederick I Barbarossa and Isaac of
Byzantium, and descendant of the emperor Alfonso VII of León, of
Eleanor of Aquitaine and Henry II of England, was a man of great
cultural curiosity and vivacity, which his mother had probably drummed
into him thanks to the particularly refined education she received at
the Sicilian court of Frederick II Hohenstaufen. He attached a great
importance to arts and strenuously supported the affirmation of
Castilian language with a vast translation and review program of
important works of Mathematics, Astronomy, History, Law and Literature.
His court became a major meeting-place for sages, erudites and artists.
Different troubadours stayed there a long time; among them, Gonzalo
Eanes, Airas Núñez or Guiraut Riquier, who lived with the king from 1269
to 1279.
The Cantigas de Santa María were King Alfonso
X’s favourite work among all the ones he had been promoting during his
reign. Their importance is clear since they contain a huge amount of
songs (more than four hundred) and have been programmatically copied in
the royal scriptorium for twenty years consecutively.
Furthermore, their manuscripts represent a valuable source of
information for the semi-mensural transcription and the myriad of
miniatures representing uses and customs, places, people, fashion, tools
and dances. They constitute a musical corpus of great relevance and
interest.
Cantigas were copied in King Alfonso’s scriptorium
as a sort of work in progress, which started with some drafts collected
in its first version: a book of one hundred poems followed by a series
of new and increasingly copious versions. The king’s compilatory
intention verged indeed on perfectionism. Iconographic sources testify
to this process which dates back to the last third of the XIII century.
In the miniature of the 4v-folio sheet, manuscript T, the king is
portrayed while he is working at his scriptorium and writing a draft of Cantigas together with his collaborators, to whom he shows a packet with the Prólogo. The first codex of Cantigas was probably copied between 1264 and 1269. It contained the transcription of one hundred songs, according to the Prólogo:
“Pois que el Rey fez cen cantares” (To, f. 1). The original manuscript
has been lost, however manuscript To is very likely to be a copy of it,
since it includes one hundred cantigas and an appendix, and it
was almost certainly copied at the end of the XIII or beginning of the
XIV century (as demonstrated by Laura Fernández, 2009). This can be an
explanation to some errors and incongruencies which would otherwise be
difficult to understand in case of supposed direct derivation from
Alfonso’s scriptorium and considering that it is the oldest of all of them.
The successive edition of Cantigas
was a sumptuous two-volume book (manuscript T and F) with the
transcription of four hundred cantigas. Manuscript T, named “Códice
Rico” with two hundred cantigas, was probably copied around 1280,
whereas F, with as many songs as T, was unfinished and unset to music;
it was probably interrupted because of the king’s death in 1284. These
two books were conceived for Alfonso’s personal use, he always took one
copy with him, as cantiga 209 indicates. The book helped him recover
from an illness during a stay in Vitoria.
Manuscript E, copied after 1282, is the most complete. It gathers all
cantigas and perfectly represents the work of Alfonso’s scriptorium.
In all likelihood, it was thought to stay in Seville Royal Chapel,
according to what the king declared in his will: “that books of Cantares de Miraglos and Loor de Sancta María
stay all in that Church where our body was buried so as to have them
sung on the occasion of Sancta María and Nuestro Sennor feasts.”
Manuscript E is also known as “Códice de los Músicos” due to the huge
amount of miniatures which have proved to be extremely useful to
identify plausible interpretations of cantigas, miniatures representing
singers and minstrels playing musical instruments.
The mise en page of manuscripts (particularly T/F and E) is extraordinarily accurate, as well as their internal organisation. After Prólogo
all cantigas are numbered and ordered in such a way as to make every
ten cantigas about the Virgin’s miracles be followed by a praise
(“cantiga de loor”) to the Marian figure, which recounts episodes of Her
life and lauds Her virtues. Moreover, miniatures in cantigas
historiated manuscripts – relating facts and real or possible places
whose authenticity is not to be questioned – show that they were
executed by vocal and instrumental groups and interpreters (male and
female) who were indistinctly Arabian, Jewish and Christian. This
confirms the presence of different influences on the work at literary,
pictorial and musical levels. On the one hand, French influences are
easily noticeable (especially in lyrics and work composition); on the
other hand, Islamic or Byzantine elements can also be detected
(actually, many Byzantine characters visited the court of King Alfonso,
whose grandmother was daughter to the emperor of Costantinople), as well
as Italian ones. As to Italian guests, it is worth noticing that the
presence of Italian artists and translators at Alfonso’s court is widely
documented. Some of them possibly came from the Sicilian Staufen
pictorial school, closed in 1266 with Manfred’s death. His successor was
Alfonso, titled King of the Romans. This would account for both the
presence of Italian elements in some miniatures and those cantigas of
Italian setting.
Various influences can also be noticed in the music of Cantigas.
Notation takes inspiration from French models spread all over Europe;
contents are represented by characters and places from all over the
known world; melodies quote from liturgical (Dies irae: cantiga 350), religious (“Canto de la Sibila”: cantiga 422; prose Aeterni numinis de Hu: cantigas 85 and 171; rondellus Fidelium sonet di Fi: cantiga 290) and profane works apart from obvious echoes of popular music that cannot be documented.
Finally, Cantigas
also show a deep influence of Andalusian music as to form and rhythm,
i.e. those aspects which distinguish this repertoire from other Western
traditions, making it more original. In Ferreira’s opinion (2000), the
rhythm of Cantigas is ultimately Arabian and is based on periodicity,
that is impossible to transcribe in the French system of rhythm modes
and is rather more similar to those described by Arabian theoreticians,
such as Al-Farabi (cyclical quaternary rhythms with syncopations and
lengthenings). On the contrary, the form of Cantigas is assumed to be indigenous (Hispanic), coming from traditional forms like moaxaja and zéjel,
which seem to have given birth to two basic formal schemes: virelay
(with many variants) AA//BBB AA, AB//CCC AB, and a particular type of
rondo defined “Andalusian” by Ferreira, AB//BBB AB, (…) AAA BA. In
addition, other musical forms appear in Cantigas; among them, the
French rondo AB//AAAB is to be mentioned due to its high occurrence.
However, the forms of most cantigas (around 90%) are virelay or
Andalusian rondo. These forms were either unknown to the rest of Europe
(as is the case of Andalusian rondo) or introduced in the Iberian
peninsula much earlier than elsewhere (in France, virelay is unknown
until 1300); for this reason, Willi Apel (1954) thought of a Spanish
origin for this form. Furthermore, Ferreira (2001) argues that the
occurrence of “autochthonous” musical forms in sources is constant,
whereas in more recent manuscripts the use of French forms is reduced.
All
these data seem to confirm that the Arabian-Andalusian element plays a
key role in the scientific study and correct interpretation of Cantigas.
This element is not to be intended as a simply ornamental choice,
consisting in the superimposition into Higinio Anglés’s transcriptions
of Arabian instruments and costumes that resemble miniatures. Rather, it
must denote a deep knowledge of rhythms and structures which in this
disc Ensemble Calixtinus and the Faraualla vocal group
have proved to possess. Thus, starting from both an in-depth study of
sources and the knowledge of Mediterranean and Arabian instruments and
repertoires, they have been able to reconstruct a rich and variegated
multicultural atmosphere in which Faraualla’s voices perfectly combine.
Thanks to their mastery of vocal expressions of different ethnicities
and cultures, these voices reflect the naturalness of singing a living
repertoire to which we are irresistibly introduced. Rhythm is one aspect
of this interpretation that must be underlined: it is not a simple
accompaniment for melody, rather it constitutes a fundamental pillar of
melodic movement that makes it fit even dance. As a matter of fact, many
miniatures show sacred rites in which dance is given a key role.
The
selected repertoire in this disc includes an instrumental song, one
praise and seven miracle cantigas (in almost all cases of oriental
theme); most cantigas are unpublished. Miracle cantigas all share the
typical virelay musical form, while the praise cantiga is the only one
with no repetitions. Songs are accompanied by instrumental preludes
modeled on Mediterranean music that serve as a thread and at the same
time take listeners to the only instrumental track, TUSHY Al-M’sarki, a piece of the Moroccan tradition deriving from the Nubas repertoire, i.e. Al-Andalus cultivated music.
In all miracle cantigas the context presentation is followed by the story of divine intervention. Indeed, cantiga 136 Poi-las fi guras fazen dos santos
is set in the city of Foggia, Apulia. A German woman, flied into a rage
because she had never won at dice, flings a stone against a marble icon
of the infant Jesus. The Virgin, who was holding her Child, injures
herself as she was raising her hand to protect him and as a consequence
her statue cracks. The king (Corrado) punishes the woman and recruits an
artist to repair it, but this is in vain, the hole in the stone still
being there as a remnant of that offence. This anti-iconoclastic
discourse is not an isolated case in the Cantigas repertoire, the
king presumably being a strong devotee of sacred icons. Actually, this
miracle (as well as other miracles described in Italian-based cantigas)
is not mentioned in any previous collection, it probably belongs to the
oral tradition.
In cantiga 165 Nun poder d’este mundo
Saint Mary is said to have defended, with the help of celestial
soldiers, the Syrian city of Tortose against the powerful sultan
Bondoudar and this, in turn, is said not to have reacted because of his
awareness of divine power. As observed by Gonzalo Menéndez Pidal, scenes
illustrating this cantiga present similarities with some Islamic
manuscripts describing war challenges (a manuscript of the School of
Baghdad dated 1237 – F-Pn, Arabian Ms. 5847).
Cantiga 28 Todo lugar mui ben
tells about the Virgin defence of Costantinople against the Syrian
sultan, implored by Saint German and other worshippers. The sultan asked
Muhammad for help turning his eyes to the sky, and then he saw the
Virgin defending the city walls with her mantle in spite of the injuries
she was suffering. That is why he entered the city weepy and asked to
be baptized. The execution of this cantiga with a sostenuto rhythm is
usually accompanied by bagpipes and pipes that give the song a
particular colour similar to northern Spain popular music.
Cantiga 49 Ben com’aos que van per mar
tells the story of a group of pilgrims heading for the Church of
Soissons. Because of the darkness of the night they get lost in the
mountains, but the Virgin leads them safe and sound to their
destination. A parallel polyphony is realized in the refrain of this
song through a vocal crescendo, whereas the strophes recount the story
in monodic way. Manuscripts seem sometimes to testify to the use of
parallel polyphony in cantigas; for instance, in manuscript T certain
passages are often written in 5th-superior differently from manuscript
E.
Cantiga 193 Sobre los fondos do mar narrates the
Virgin’s miracle of saving a merchant robbed and thrown to the sea by
one of King Louis of France’s ships during one of his trips to Tunis
with the crusaders. After a long instrumental introduction the execution
requires a different rhythm from Anglés’s, and conforms to Jerome of
Moravia’s durations indicated in original sources, closer to
Arabian-Andalusian rhythm patterns. Polyphpony is seldom introduced in
strophes.
Cantiga 187 Gran fe devia om’ aver en Santa Maria
explains that the first Syrian Church had previously been a synagogue.
By the Virgin’s order a monastery had been built there. Monks had also
been about to abandon it due to lack of food. However, after spending a
whole night praying, the Virgin filled their barn up. Moreover, when the
famine spread, the Virgin awarded them with a great quantity of gold,
once again thanks to their prayers. This is to demonstrate that faith in
Sancta María can save man form all evil.
Cantiga 33 Gran poder a mandar.
A ship with more than 800 pilgrims sailing toward Acre sank because of a
tempest. Some passengers, among whom a bishop, embarked on a lifeboat,
but one of them stumbled while trying to go on board and fell in the
sea. When survivors reached the shore, they realized that the man who
had fallen in the sea was waiting for them. He told them that the Virgin
had saved him. As the refrain goes, a great power has on all elements
the mother of their Creator.
The first cantiga is the only one that does not describe any miracle. Des oge mais quer’ eu trobar
is a praise cantiga, whose form is not the typical virelay. Actually,
exceptions to hispanic musical forms are to be found just in these
praise songs. It is a song with no structural repetition – although it
retrieves melodic material from one sentence to the next one – in
conformity with the style of courtly love songs (an aspect which is also
linked to the use of “French” forms). The song starts in the courtly
manner, stating that the minstrel will only compose for his Lady, and
goes on narrating the seven joys of the Virgin.
L’Ensemble Calixtinus è stato fondato
nel 1992 a Molfetta. Scopo dell’Ensemble è di ricostruire le tradizioni
de periodo medievale e tradizionale della Puglia, punto di passaggio
dell’Italia meridionale tra cristiani musulmani ed ebrei. In questo
senso è stata condotta un’approfondita ricerca dedicata al recupero dei
manoscritti locali (graduali, antifonali, polifonie liturgiche a falso
bordone) allo scopo di ridare vita a quella musica che fa parte del
patrimonio culturale e storico della Puglia. In parallelo l’Ensemble ha
affrontato diversi repertori vocali e strumentali del medioevo (musica
sefardita, monodia e polifonia liturgica colta e tradizionale) con
particolare interesse nei confronti delle tradizioni musicali
extraeuropee dal vicino oriente all’Asia centrale.
Nel campo della
ricerca musicologica, l’Ensemble si avvale di una équipe che studia i
manoscritti dell’epoca, esaminandone attentamente l’aspetto semiologico,
paleografico, storico e rituale.
L’Ensemble ha una intensa attività
concertistica e partecipa a molti festival in Italia e all’estero
riscuotendo consensi di crtitica e pubblico. Ha suonato nei principali
Festivals di musica antica e mediterranea come il Canto delle Pietre
(Como), Il Montesardo (Alessano), Antiche Note (Perugia), Mousiké
(Bari), Musica nelle Corti (Matera), Voix et Route Romaine (Strasburgo),
Casa Musicale di Pigna (Corsica), Alpentone (Svizzera), Krems
(Austria), Metropolitan Museum of New York (USA), castello di Torre
Chiara (Parma), I Luoghi dello Spirito (Ravenna), I Giullari (Tivoli),
Castel del Monte (Bari), Monte Sant’Angelo (Foggia).
Ensemble Calixtinus was founded in 1992 in Molfetta. The mission of Ensemble is to reconstruct the medieval traditions of Apulia, a crossroad in southern Italy for Christians, Muslims and the Jewish.
In
this sense, a detailed research has been carried out aimed at
retrieving local manuscripts (gradual, antiphonal, false drone
liturgical polyphonies). Ensemble’s goal is to revitalize that
music which belongs to the Apulian cultural and historical heritage.
Furthermore, Ensemble has also executed Medieval vocal and instrumental
repertoires (Sephardic music, monody, liturgical cultivated and
traditional polyphony) with a special interest in extra-European musical
traditions from the Near East to Central Asia.
Ensemble can
also boast a musicology research team engaged in studying ancient
manuscripts and carefully examining semiological, paleographical,
historical and ritual aspects.
Besides, Ensemble also carries
out an intense concert activity, taking part in many festivals in Italy
and abroad and meeting with a great critical and audience acclaim.
They
have played in the principal festivals of ancient and Mediterranean
music, such as Canto delle Pietre (Como), Il Montesardo (Alessano),
Antiche Note (Perugia), Mousiké (Bari), Musica nelle Corti (Matera),
Voix et Route Romane (Strasburgo), Casa Musicale di Pigna (Corsica),
Alpentone (Switzerland), Krems (Austria), Metropolitan Museum of New
York (USA), Castle of Torre Chiara (Parma), I Luoghi dello Spirito
(Ravenna), I Giullari (Tivoli), Castel del Monte (Bari), Monte
Sant’Angelo (Foggia).
Faraualla
Faraualla
è la più profonda cavità carsica della Murgia, l’altopiano pugliese. È
una voragine che si apre fra distese di grano, pascoli e masserie, isola
di silenzi che ha ispirato credenze popolari. Faraualla è un
nome di origine incerta la cui pronuncia riempie la bocca di voce. Come
quando una parola dimentica il suo significato per ritornare suono,
puro, primitivo e potente. Questa nuova percezione accresce la forza
della vocalità e fa si’ che la voce restituisca l’istinto nel canto.
Così di bocca in bocca si tramandano, moltiplicandosi, pezzi di voci e
di storie.
L’immaginario di Faraualla è segnato da
un’abitudine antica all’Ascolto. Nelle nostre orecchie
l’intreccio di lingue e canti è Storia e Gioco sonoro.
Il quartetto vocale Faraualla
è nato nel 1995. Dopo aver approfondito singolarmente lo studio e la
pratica della vocalità in ambiti musicali differenti, le quattro
cantanti hanno trovato un interesse comune nella ricerca sull’uso della
voce come “strumento”, attraverso la pratica della polifonia e la
conoscenza delle espressioni vocali di diverse etnie e di periodi
storici differenti. Gli esiti di questo lavoro si ritrovano nel
repertorio Faraualla, nelle composizioni originali, che spesso si
evolvono a partire da una matrice improvvisativa, come nei brani
tradizionali. Le suggestioni di un percorso attraverso culture tanto
lontane fra loro si fondono in una sintesi originale in cui emergono con
forza le radici culturali del gruppo. La Puglia è presente nel “suono”
che connota la formazione barese, negli strumenti a percussione che
accompagnano l’esecuzione, nello stesso nome del gruppo.
Faraualla
is the deepest karstic cavity of the Murgian upland in Apulia. This
chasm opens among fields of wheat, pastures and farms, a silent isle
that has inspired popular believes. The origin of this name remains
obscure but its pronunciation fills the mouth with voice. As when a word
forgets its meaning to be, once again, sound: pure, crude and mighty.
This new perception strengthens vocality and makes the voice give back
the instinct of singing. So, pieces of voices and stories are handed
down, multiplying. An old habit of listening marks the imaginary world
of Faraualla.
In our ears the plait of song and stories is History and “Sound Game”.
The quartet Faraualla
was born in 1995. After making a careful study of vocality in different
precincts of music, the four singers have found a common interest
investigating the use of the voice as an instrument, practicing
polyphony and going into vocal expressions of different ethnicities and
different times.The outcomes of this work are collected in the repertory
of Faraualla, in original compositions that often develop from
an improvised matrix, as in traditional songs.The suggestions of an iter
through cultures so far between themselves melt together into an
original synthesis in which cultural roots of the group strongly
emerge.The presence of Apulia may be found in the “sound” of the
quartet, in the percussion instruments that accompany the performance,
and in the very same name of the group.