IL COSIDDETTO CODICE DI STAFFARDA
conservato presso la Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino (Ris.
Mus. I, 27) si colloca fra le più antiche testimonianze della vita
musicale piemontese. Piccolo borgo rurale ora frazione del Comune di
Revello e situato a una decina di chilometri da Saluzzo, Staffarda
ospita un complesso abbaziale di origine cistercense fondato intorno
agli anni 1127-1138 (ma la chiesa fu eretta fra il 1150 e il 1210) dal
marchese Manfredi I (m. 1175), figlio di Bonifacio del Vasto e primo
membro di una dinastia che resse il Marchesato di Saluzzo sino al 1548,
successivamente incorporato (col Trattato di Lione del 1601), dopo
vicende varie, nei territori del Ducato di Savoia.
L'Abbazia di Santa Maria, dal 1750 appartenente all'Ordine Mauriziano,
sino ai primi decenni del secolo XIV godette di notevole prosperità:
retta, a partire dal secolo successivo, da abati commendatari -
religiosi secolari per lo più membri di famiglie di alto lignaggio -
essa fu poi spogliata di molti tesori e saccheggiata infine dalle
truppe francesi, condotte dal generale Nicolas Catinat, vincitrici nel
1690 di una storica battaglia svoltasi in quel territorio nel quadro
della cosiddetta Guerra della Grande Alleanza.
È a un abate
commendatario, Brixianus Taparelli, membro del ramo di Savigliano della
nobile famiglia dei Tapparelli (o Taparelli) e vissuto nella seconda
metà del XVI secolo, che il Codice di Staffarda ci riconduce; alla
carta 40r si riscontra la presenza di una nota di possesso così
formulata: «Ex libris Fratris Brixiani Taparelli Religiosi Stapharde».
In seguito alle varie spogliazioni subite dall'Abbazia, i numerosi
codici ivi esistenti andarono dispersi; alcuni fra essi, tuttavia,
furono acquistati o comunque acquisiti dal duca Carlo Emanuele I di
Savoia (regnante dal 1581 al 1630) e incorporati nella Libreria Ducale.
Fra questi figurava anche il Codice in questione, l'unico di interesse
musicale, poi trasferito (1723) da Vittorio Amedeo II nella Biblioteca
della Regia Università di Torino.
Il Codice consta di 101
carte munite di tre distinte filigrane, la più antica delle quali
risponde ad un tipo assai diffuso in Piemonte circa fra il 1420 e il
1475, mentre la più recente si può far risalire ai primi decenni del
Cinquecento. Le composizioni - tutte a 3 o a 4 voci (salvo una che è a
2 voci) - sono complessivamente 49: 8 messe (fra cui una pro defunctis), 11 Magnificat, 14 mottetti di varia natura (inni, antifone, Salve Regina,
ecc.), 2 Benedictus, 12 chansons, 1 canone enigmatico, 1 brano
strumentale. Solamente per 19 di tali composizioni si conosce il nome
dell'autore, il più delle volte individuato attraverso il confronto con
altre fonti, e fra questi figurano Alexander Agricola, Loyset Compère,
Hayne van Ghizeghem, Heinrich Isaac, Antoine de Fevin, Jacob Obrecht,
Antoine Brumel e un «misterioso» Engarandus Juvenis - un nome presente
esclusivamente nel Codice di Staffarda, autore di una Missa pro defunctis e di un Magnificat a 4 voci, nonchè di un Salve Regina a 3 voci -, tutti scomparsi fra la fine del XV secolo e i primi due decenni del XVI.
La composizione probabilmente più rappresentativa è la Messa A lumbreta dum bussonet
a 4 voci, recante a margine la notazione «Brumel gentil galant»
(espressione comunissima nel repertorio dei canti popolari piemontesi,
savoiardi e franco-provenzali), e poi pubblicata nel Liber quindecim missarum (Andrea Antico, Roma, 1516) col più corretto titolo A l'ombre d'ung buissonet.
Anche Carpentras (= Elzéar Genet, morto ad Avignone nel 1548) fece
ricorso a quel testo per una propria messa, pubblicata ad Avignone nel
1532. Entrambe le messe prendono a modello (e si tratta, dunque, di
messe-parodia, vale a dire di opere che utilizzano un materiale
musicale «preesistente ») una chanson di Josquin Desprez: En l'ombre duna buissonet au matinet a 3 voci (la cui melodia - al superius - si riscontra nello Chansonnier de Bayeux
redatto probabilmente in Normandia intorno al 1490-95) e pubblicata da
Andrea Antico nel 1536; un'altra chanson di Desprez dal medesimo testo,
ma elaborata a 4 voci in canone e con diversa melodia, è nota in un
manoscritto dei 1496 e venne pubblicata dal Petrucci nel 1503.
Per quanto concerne Antoine Brumel, c'è da dire che, nativo delle
Fiandre intorno al 1460 e morto a Ferrara poco dopo il 1520, il
musicista - uno fra i più rappresentativi dell'epoca - negli anni
correnti dal 1486 al 1492 aveva diviso la propria attività fra Ginevra
e Chambéry ed era poi stato ancora al servizio della Cappella Ducale
dei Savoia fra il giugno 1501 e il luglio 1502, prima di approdare
(dicembre 1505) alla corte di Ferrara presso la quale fu maestro di
cappella sino al 1520. Nel Codice di Staffarda, la composizione di
Brumel, in forma di doppio canone come la chanson a 4 voci di Desprez, è notata solamente a 2 parti, bassus e altus; le restanti 2 voci, tenore e superius,
sono rispettivamente condotte in canone sulle precedenti. Ancora una
volta la complessa arte contrappuntistica fiamminga trova modo di
manifestarsi nella maniera più solenne e stupefacente.
Si
deve poi notare che il testo sul quale è stata costruita la melodia ha
un incipit simile a quello di un famoso canto popolare assai diffuso in
Piemonte (A l'umbrëta dël büssun e varianti) e in alcuni
territori della Francia occidentale. Inoltre, è importante ricordare
che Brumel fu autore anche di una Messa intitolata Berzerette savoyenne (pubblicata nel 1503), esemplata sull'omonima chanson
di Josquin Desprez (1501) e che ancora una volta riconduce il
compositore franco-fiammingo all'ambiente proprio del Ducato di Savoia.
Oltre a quella di Brumel, come si è detto, il Codice di Staffarda contiene altre sette messe. Una di queste è una Missa pro defunctis
a 4 voci espressamente attribuita a Engarandus Juvenis. Su questo
autore, rappresentato nel Codice come si è detto da due altre
composizioni, nulla si può dire. Tuttavia, poichè da un inventario di
«libri storici della Francia» ora conservato presso l'Archivio di Stato
di Torino risulta che nella Libreria Ducale dei Savoia esisteva una
copia della ben nota Chronique d'Enguerrand de Monstrelet, depuis 1400
jusqac én 1444 (continuazione di quella di Jean Froissart), si può
supporre che il compositore in questione potesse essere figlio di quel
cronista nativo della Piccardia, il cui nome sembrerebbe diffuso
soprattutto nel Nord della Francia e in Borgogna, terre dalle quali
provenivano molti dei musicisti assunti al servizio dei Savoia e dalle
principali corti italiane. La traccia, comunque, è estremamente
modesta, così come labile resterebbe l'eventuale riferimento al pittore
di Laon, ma operante poi soprattutto in Provenza fra il 1444 e il 1466,
Enguerrand Quarton, al quale in anni passati era stata attribuita una
splendida Madonna di Misericordia, raffigurante anche il marchese
Ludovico II di Saluzzo con la consorte Margherita di Foix, una vistosa
pala ora assegnata ad Hans Clemer (il «Maestro d'Elva») e conservata a
Saluzzo in Casa Cavassa.
Nel XV secolo e per buona parte del XVI l'elaborazione polifonica dei testi costituenti la Missa pro defunctis (o Requiem)
non era particolarmente frequente; il testo stesso sarà stabilizzato
solamente con le disposizioni dettate in fatto di liturgia dal Concilio
di Trento. L'esempio più antico del genere è opera di Ockeghem, essendo
andato perduto il Requiem che Dufay avrebbe composto prima del 1470. La
Messa di Ockeghem si compone di Introito (Requiem aeternam), Kyrie, Graduale (Si ambulem), Tratto (Sicut cervus) e Offertorio (Domine Jesu Christe)
; essa è priva, pertanto, del testo divenuto poi fondamentale
nella liturgia della commemorazione dei morti, la Sequenza Dies irae,
la cui prima testimonianza polifonica è generalmente ritenuta quella
firmata da Brumel e pubblicata nel 1516. Il Codice di Staffarda,
tuttavia, offre una smentita alla storiografia «ufficiale» poichè già
nel Requiem di Engarandus Juvenis, sicuramente anteriore a quella data
e forse assegnabile agli ultimi anni del XV secolo, compare il Dies irae intonato - alternativamente alle stanze esposte in canto gregoriano - a 2, 3 o 4 voci a seconda dei casi.
Il fascino del documento musicale, raffinato ed elegante, come del
resto lo è tutta la Messa di Engarandus, è ulteriormente accresciuto
dal fatto che, almeno per il momento, è impossibile conoscere per quale
specifica circostanza e in quale luogo il Requiem fu composto. La sua
presenza in un codice proveniente dalla biblioteca dell'Abbazia di
Staffarda, sita nel territorio del Marchesato di Saluzzo, potrebbe far
supporre che il monumento sia legato alla storia, se non della chiesa
saluzzese (eretta a diocesi solamente nel 1511) o a quella propria del
Marchesato (si può ricordare che gli ultimi due grandi marchesi furono
Ludovico I, morto nel 1475, e Ludovico II, morto nel 1504), almeno alla
figura di uno degli abati commendatari che sul finire del secolo XV
ressero il complesso cistercense. E, tuttavia, non si può dimenticare
che il codice, se in prevalenza contiene composizioni sacre, è dotato
anche di 13 brani profani (fra cui 12 chansons), che non
possono quindi essere ricondotti al repertorio in uso nell'abbazia.
Pertanto, è più probabile che il manoscritto, che pur dovrebbe avere
origini piemontesi, fosse stato introdotto nella biblioteca
dell'abbazia dal suo legittimo proprietario, Brixianus Taparelli, nel
momento in cui aveva ricevuto la nomina ad abbate commendatario del
complesso cistercense.
ALBERTO BASSO
Presidente dell'Istituto per i Beni Musicali in Piemonte