Cantico della Terra / Quartetto Vocale di Giovanna Marini · Micrologus
Musica sacra e popolare dall'Italia centro-meridionale del Quattrocento





medieval.org
Opus 111 OPS 30-277

2000







1. Nicholay sollemnia   [1:51]   AQ · BB · tutti
tropo al Benedicamus | Cividale del Friuli


2. Sonet vox ecclesie   [2:13]   GdE · SV · LG · GR GMi
strumentale | tropo al Benedicamus · Cividale del Friuli


3. Passione di Diamante   [5:15]   GM · PB · FB · PN
tradizionale | Calabria


4. Miserere di Santu Lussurgiu   [3:30]   GM · PB · FB · PN
tradizionale | Sardegna


5. O divina Virgo flore   [2:24]   SV
lauda strumentale | Cortona · Ms.91


6. Dami conforto Dio et alegrança   [6:06]   PB · AQ · GR
lauda | Cortona · Ms.91


7. Passione di Giulianello   [4:36]   GM · PB · FB · PN
tradizionale | Lazio


8. Stava la Madre   [4:11]   GM · PB · FB · PN
tradizionale di Blera | Lazio


9. Iam lucis orto sidere   [2:50]   AQ · Abe · GdE · GMi
inno · cantus planus binatim | Assisi · Bibl. Chiesa Nuova · Ms.40 f.


10. Kyrie Eleison   [3:26]   AQ · AB · PB · GdE · GR
kyrie e suo tropo strumentale | Assisi Bibl. Com. · Ms.187


11. Gloria   [2:13]   BB · ABe · AQ
frammento di Foligno | Bibl. Comunale


12. Sanctus   [2:13]   GdE · SV · LG · GR · AQ · ABe
Bologna · Bibl. music. Civico Museo · Q11


13. Miserere di Sessa Aurunca   [3:59]   GM · PB · FB · PN
tradizionale | Campania


14. Gloria di Montedoro   [2:40]   GM · PB · FB · PN
tradizionale · Sicilia


15. Chi vol lo mondo despreççare   [4:25]   AQ · ABe · BB · AB · GR
lauda | Cortona · Ms.91


16. Submersus jacet Pharao   [2:00]   GdE · SV · GMi
strumentale · tropo al Benedicamus | Cividale del Friuli


17. O Lylium convallium   [1:11]   AQ · BB · coro ABe AB GR
tropo per il Benedicamus | Cividale del Friuli


18. Madonna Santa Maria   [5:42]   PB · GR · tutti GMi · GR
lauda | Cortona · Ms.91



MICROLOGUS
Patrizia Bovi – canto · arpa · PB
Adolfo Broegg – liuto · AB
Goffredo Degli Esposti – ciaramela · cornamusa · organo portativo · cenamella · GdE
Gabriele Russo – viella · lira · tromba naturale · GR
Alessandro Quarta – canto · AQ
Bruno Bonhoure – canto · BB
Alberto Berettini – canto · ABe
Stefano Vezzani – bombarda · SV
Gabriele Miracle – campane · GMi
Luigi Germini – tromba naturale LG

QUARTETTO VOCALE DI GIOVANNA MARINI
Giovanna Marini – canto · GM
Patrizia Bovi – canto · PB
Francesca Breschi – canto FB
Patrizia Nasini – canto · PN








LA CANTANTE e arpista Patrizia Bovi, Adolfo Broegg, Gabriele Russo et Goffredo Degli
Esposti hanno fondato l'ensemble vocale e strumentale MICROLOGUS nel 1984 nell'intento di riscoprire la musica medioevale, le tradizioni strumentali e la nuda vocalità dei Paesi del bacino mediterraneo. Le interpretazioni di Micrologus si fondano su lavori iconografici e organologici, ma soprattutto su uno studio comparativo etnomusicologico. Le tradizioni di canto popolare sono dunque studiate in quanto vestigia delle tecniche vocali antiche. La composizione dell'ensemble varia dai cinque agli undici musicisti, ciascuno dei quali suona 3 o 4 strumenti: una polivalenza che gli conferisce una pienezza sonora assai rara. In occasione di seminari tenuti in tutta Europa, i artisti condividono il frutto delle proprie ricerche con giovani musicisti. Dal 1990 Patrizia Bovi ha unito la proprio personalità incandescente alla verve di Giovanna Marini, collaborando con il suo famoso quartetto vocale.

PREMIATA per i suoi studi di chitarra all'Accademia di Santa Cecilia di Roma nel 1959, GIOVANNA MARINI decide di seguire per due anni i corsi di Andrés Segovia a Siena. In quel periodo entra in contatto con l'etnomusicologo Diego Carpitella e il gruppo Nuovo Canzoniere Italiano: quest'incontro la porterà, in seguito ad una vera e proprio rivelazione musicale, a dedicare la sua vita alla raccolta del materiale orale ancestrale. Nel 1976 Giovanna Marini decide di creare il proprio quartetto vocale. Il suo lavoro, caratterizzato da una miscela di serietà erudita ed accademica e di humour, emozione e satira sincera, porta il segno di un'artista curiosa e completa. Compositrice, il cui talento è stato riconosciuto da diversi premi internazionali, negli ultimi vent'anni Giovanna Marini ha partecipato a numerose produzioni teatrali e cinematografiche.

THE SINGER and harpist Patrizia Bovi, Adolfo Broegg, Gabriele Russo et Goffredo Degli Esposti founded the vocal and instrumental ensemble MICROLOGUS in 1984 with the aim of rediscovering Mediterranean medieval music and its instrumental and vocal traditions. Micrologus's interpretations draw from iconographical and comparative ethnomusicological study. The traditions of popular singing are studied in the context of surviving ancient vocal techniques. The ensemble is made up of five to eleven members, each playing three or four instruments. This versatility gives them a rare sound. The artists share the fruits of their research with young students in master classes across Europe. Since 1990 Patrizia Bovi has collaborated with Giovanna Marini and her famous vocal quartet.

AFTER EARNING her degree in guitar performance from the Academia Santa Cecilia in Rome in 1959, GIOVANNI MARINI studied with Andrés Segovia in Sienna for two years. It was there that she met ethnomusicologist Diego Capitella and the ensemble Nuovo Canzoniere Italiano, which brought about a musical revelation in her. Since then she has dedicated her life to the collection of ancestral oral material. In 1976 she founded her vocal quartet. The mixture of her university erudition and emotional, satirical humour is the mark of a curious and full-blown artist. An award-winning composer, she has participated in numerous theatrical and cinematic productions over the post 20 years.


Gli strumenti
Adolfo Broeggliuto (Vincenzo Cipriani · 1998 da anonimo umbro · xiv secolo)
Gabriele Russo
lira (Giuseppe Fragomeni · 1987 · strumento tradizionale)
viola (Vincenzo Cipriani · 1995)
viella (Vincenzo Cipriani 1992)
Goffredo Degli Esposti
ciaramella (Gerado Guatieri 1988 · strumento tradizionale)
cornamusa (Benedetto Saia · strumento tradizionale)
cennamella (John Honchet 1989)
organo portativo (Eugenio Becchetti 1999)
Stefano Vezzanibombarda (Gunther Körber · 1989)
Luigi Germini – tromba naturale (Kalison)
Patrizia Boviarpa (Rainer M. Thurau · 1992 · da J. Bosch)


Executive producer: Yolanta Skura
Recording producer, engineer, editing: Laurence Heym
Recording: Chiesa della Madonna della Misericordia, Poreta, Italy, April 1999

Cover: Veronique Thoumazed - Cover design: Guillermo Nagore
Booket illustration: Trente, Castel of Buonconsiglio, Fresco at Torre dell'Aquila,
The Month of April: The Peasants sow the Seeds
Révision des textes: Peter Vogelpoel

Ⓟ 2000 Original recording made by Opus 111, Paris   © 2000 Opus 111, Paris




English liner notes







MUSICA SACRA E POPOLARE DALL'ITALIA CENTRO-MERIDIONALE
DEL QUATTROCENTO


LA MUSICA DELL'ITALIA MEDIEVALE arriva ai nostri giorni conservata nei più antichi manoscritti musicali della penisola, meno ricchi e numerosi di quelli d'oltralpe, ma certamente significativi nelle loro particolarità: sono le polifonie primitive italiane provenienti dalla Biblioteca Capitolare di Cividale del Friuli (XIV sec.), e le laudi del codice della Biblioteca Comunale di Cortona, numerato come Ms.91 (fine XIII sec.).

Le laudi di Cortona, le polifonie primitive umbre (tra cui quelle di Assisi, anch'esse nello stile del cantus planus binatim come quelle di Cividale), le composizioni liturgiche, sono le preziose testimonianze di una vasta tradizione musicale, sicuramente preesistente alla loro stesura, affidata in gran parte alla memoria degli esecutori e quindi persa nel tempo.

La lauda era un canto semplice, monodico, facile da intonare, almeno nel ritornello, eppure, proprio perché canto corale, sempre ispirato ed emozionalmente profondo. I testi, nei nascenti dialetti, trattavano vari argomenti: canti di lode alla Vergine, sulla Natività, la Passione e Resurrezione di Cristo, lode dei Santi, canti penitenziali e sulla morte. Formata normalmente da un ritornello seguito da una strofa (prevalente è la forma di ballata), è ipotizzabile che la lauda sia stata il canto di un solista a cui poteva benissimo rispondere il coro dei confratelli; una forma musicale, quindi, con carattere non solo di preghiera e lode ma, forse, più spesso con intento celebrativo e nello stesso tempo educativo e, soprattutto, per la sua semplicità, fruibile da tutti.

La pratica di tale canto presso le varie confraternite è attestata per mezzo di precisi riferimenti nelle cronache dell'epoca: era il canto che animava il mondo dei Flagellanti, delle confraternite dei Laudesi e dei Bianchi, delle cattedrali romaniche al tempo di Francesco di Assisi, di Jacopone da Todi e di Raniero Fasani. Soprattutto da ricordare come tale canto fosse uno dei momenti principali di rinnovamento spirituale e di emancipazione delle confraternite dalla tradizione liturgica, momento di incontro e di forte coesione tra i fratelli che, con cadenza periodica, si riunivano per la preghiera e per il canto delle laude.

Le polifonie arcaiche di Cividale, al contrario, ci testimoniano una pratica polifonica cosiddetta di cantus planus binatim affidato a solisti specializzati nel polifonizzare un canto preesistente, spesso alla mente, cioè improvvisando una seconda voce sul brano conosciuto secondo alcune regole diffuse nella prassi comune e solo in parte accolte nei trattati dei musici teorici.

Ricordi di questo importante mondo musicale sono vivi all'interno delle più arcaiche tradizioni popolari italiane: le processioni, i canti rituali, le sonate e le danze, i repertori paraliturgici della Settimana Santa che sono rimasti in uso in alcune zone della penisola e a volte ancora molto ben conservati e "protetti".

Provenienti da isole, geografiche e non, della nostra cultura passata e pre-romantica, questi repertori tradizionali giungono ai nostri orecchi con caratteri molto diversi dai canoni estetico-musicali più conosciuti e quindi riconoscibili.

Sono la sopravvivenza di stili e tecniche musicali, di significati antropologici sociali e spirituali che affondano le proprie radici nel Medioevo e forse anche oltre.

Così voci e suoni quasi completamente dimenticati, che nel mondo attuale sono relegati nel folclorico, rivivono della loro antica funzione, rivelandosi una chiave di lettura di una cultura distante e altrimenti difficilmente comprensibile.

Infatti, per quanto riguarda il timbro vocale, la tessitura delle voci, il fraseggio musicale e gli strumenti utilizzati, tutto ciò arriva a noi, in un primo momento, come qualche cosa di inusuale e nello stesso tempo affascinante.

li suono nasale ed acuto delle voci, spesso forte e statico nel fraseggio, indica invece un'estetica sonora e una necessità espressiva assai precisa: la ricerca della fusione delle voci tramite la risonanza dei suoni armonici, scelti e spinti in fuori con potenza che, amplificando ancora di più il suono, si distendono nell'aria e si propagano nell'ambiente. Così, per fissare bene l'intonazione degli armonici, non interessa la velocità della frase, ma la sua staticità.

Anche gli strumenti musicali scelti, sebbene poco utilizzati in questo repertorio, confermano questa necessità espressiva: il suono acuto e ricco di armonici delle cennamelle, della zampogna, della viola, della lira e delle campane, va a superare facilmente gli spazi aperti dove il rumore di fondo, sebbene di molto inferiore a quello a cui siamo oggi purtroppo abituati, impediva la netta percezione della musica. Negli spazi chiusi, al contrario, come ad esempio in chiesa, era l'organo il primo strumento ad adattarsi alla sonorità di tale ambiente, con un suono ben risuonante anche se di dimensioni, all'epoca, non imponenti.

Nel tentativo di ricostruire un quotidiano sonoro e una visione d'insieme delle culture musicali diffuse nelle società antiche di riferimento, abbiamo quindi condotto una ricerca su due fronti: la musica scritta, ma con una particolare attenzione ai repertori, per così dire, periferici e meno ufficiali, e la musica non scritta — quella di tradizione orale appunto — nei suoi momenti funzionalmente più codificati e ufficializzati, come i canti della settimana santa.

Il risultato è il "Cantico della Terra", la nostra terra, un percorso nella musica devozionale dentro e fuori le città, dall'Italia medievale alla tradizione orale vivente, fra testimonianze varie di un sapere sonoro e poetico diffuso a diversi livelli e a distanza di tempo e di spazio. Un sapere arcaico, che costituisce il cuore antico dell'estetica musicale italiana; un sapere musicale-poetico praticato e scritto secoli fa in Toscana e in Umbria, così come altrove, e che arriva fino ad oggi, tramandato oralmente, sfidando l'omologazione dei tempi moderni. Un percorso musicale fatto di voci tra pietre e alberi: il suono della voce come la pietra che divide l'esterno dall'interno, la città — luogo sicuro e rifugio — dall'incognito che abita i boschi, dove l'albero è archetipo ancestrale e simbolo stesso della tradizione e della memoria.

ADOLFO BROEGG
GOFFREDO DEGLI ESPOSTI






RELIGIOUS AND TRADITIONAL MUSIC OF SOUTHERN ITALY DURING THE 13th CENTURY

ITALIAN MUSIC of the medieval period survives in some of the oldest musical manuscripts on the peninsula, and although it is less varied and survives in smaller quantities than that north of the Alps, it is nevertheless of significant importance. Two examples of this are the early polyphony (14th century) held in the Biblioteca Capitale di Cividale di Friuli and the Lauds in cod. Ms. 91 (end of the 13th century) owned by the Biblioteca Comunale di Cortona.

The Cortona Lauds, the primitive polyphony from Umbria (including those from Assisi, themselves in the same cantus planus binatim style as those from Cividale), and the liturgical music are precious evidence of a vast musical tradition which predates the period when they were copied, a tradition which was for the most part memorised by the singers and consequently largely lost.

A laud was a simple monodic song which was easy to intone, at least in the refrain (perhaps precisely because it was designed for choral performance), and always inspired and emotionally profound. The texts (written in what were to become the dialects of Italy) have differing subjects, notably: praise of the Virgin Mary; the Nativity, Passion and Resurrection of Christ; praise of the saints; and penitence and death. The structure was normally one of a refrain followed by a strophe (the most common form is the ballata) and it is from this that scholars believe that lauds were designed for solo singers whose music could easily be answered by a choir of monks. It was therefore not only a musical form of prayer and praise but also (and perhaps more frequently) a form of celebration and of education; most importantly, it was open to all.

That the confraternities of the period performed such pieces is attested by the chroniclers of the period. They were used by the Flagellants, by the confraternities of the Laudesi and the Bianchi, and by the Romanesque cathedrals at the time of St. Francis of Assisi, Jacopone da Todi and Raniero Fasani. Above all, it should be borne in mind that for the confraternities lauds were an important moment of spiritual revival and emancipation from liturgical traditions, a moment when all the brothers would meet and bond; indeed they would meet regularly to pray and to sing the lauds.

The early polyphony from Cividale, on the other hand, is evidence of the polyphonic practice known as cantus planus binatim, music given to soloists who specialised in making polyphonic a pre-existing melody, often extemporising a second line to harmonise with a well-known song but following certain widely used rules, only some of which made it into works on music theory.

Reminiscences of this music exist still today within some Italian folk traditions, notably: processions, ritual songs, instrumental music and dances, and the paraliturgical repertoire for Holy Week which has remained in certain parts of Italy, often well preserved and one could almost say 'saved'.

These traditional pieces come down to use often from 'islands' (both literal and figurative) surviving from Italy's cultural past and sound very different from the recognisable musical/aesthetic canons of today. They are survivals of musical styles and techniques, with both social anthropological and spiritual dimensions, whose roots go as deep as the Middle Ages and perhaps earlier.

As a result, voices and sounds which had been forgotten or relegated to folk music have now returned to their original place, providing us with a key to understanding this distant culture which otherwise would have been hard to decipher.

On a first hearing, the vocal timbre, the tessituras of the voices, the phrasing and the instruments used all come together to give an unusual but fascinating effect.

The high, nasal, sound of the voices, often loud and with static phrasing, are however the product of a very specific musical aesthetic and expressive imperative. The blend of the voices comes from the resonance of the harmonics, which themselves are sought after and pushed forcefully. The volume is consequently greatly increased and the sound fills the air and the surrounding area. To fix the harmonics it is not the speed but the static quality of the phrasing which counts.

The   carefully-chosen instruments, although little used in this repertoire, also underline this expressive imperative. The piercing, harmonic-rich sound of the cennamelle, zampogna, viel, lyre and bells would all have easily dominated the background noise of any open space, despite the fact that such noise would have been much less than that to we are unfortunately subjected today. For interiors, such as in church, the organ was the primary instrument and perfectly adapted to such an acoustic environment. Indeed although not as imposing as today's organs, the sound would have been deeply resonant.

Since it was our aim to reconstruct the everyday sounds of the relevant medieval period and also to give a synthetic picture of the prevalent musical culture, we performed our research on two fronts: written music, but with special emphasis on the peripheral and as it were non-official pieces; and non-written music, in its most codified and officially accepted guise, such as in the songs for Holy Week.

The result is the Cantico della Terra, the song of the earth, a musical journey to Medieval Italy both within and outside the city, based on written and living oral traditions, taken from a great variety of musical and poetic sources, of both 'high' and 'low' culture', distant in time and space. This is very old music; it is the very heart of the Medieval Italian musical aesthetic. It is the music and poetry which was performed and written in ancient Tuscany and Umbria, and it has come down to us via oral transmission, sidestepping the modern spreading disease of uniformity. This music is like rock and wood. The sounds of the voices are like the stones which separate inside from outside, the city, the place of safety and refuge, separated from the unknown which lives in the forest, where the tree is the ancestral archetype and the very symbol of tradition and memory.

ADOLFO BROEGG • GOFFREDO DEGLI ESPOSTI
Translation: Andrew Wade





La musica dell' Italia medievale che conosciamo è quella conservata nei manoscritti la cui storia è in qualche modo legata con quella dei Comuni e delle Signorie delle città italiche del XIV e XV secolo. Tuttavia, come da tempo affermato da importanti musicologi, è impossibile basare sui soli documenti diretti il tentativo di ricostruire il quotidiano sonoro delle società antiche.
Molte sono le testimonianze extramusicali che contribuiscono ad arricchire il panorama degli eventi musicali delle nostre città medievali: gli squilli dei banditori e dei trombetti comunali, i cosiddetti strumenti alti delle fanfare per le processioni civili, i musicisti assoldati dalle confraternite per l' esecuzione delle laudi e per le processioni religiose, i cantanti delle cappelle delle Signorie quattrocentesche e le formazioni strumentali che accompagnavano le danze e i balli.

Nell' iconografia, nella letteratura e negli archivi storici troviamo preziosi riscontri: affreschi con angeli musicanti e con scene musicali, cronache di feste e di convivi con poesia e musica, documenti di pagamento per strumentisti e cantanti contribuiscono a ricostruire una grande visione della musica come centro sociale dell' Italia a cavallo tra medioevo e rinascimento.
E oltre a ciò, la tradizione: tutto quello di cui non avremo mai una testimonianza storica, perché privato della dignità della scrittura ed estraneo alle dinamiche della cultura alta, rimane nella grande memoria collettiva della cultura di tradizione orale.

Più di venticinque anni fà il Nino Pirrotta propose come strumento dell' indagine musicologica la comparazione tra la tradizione scritta e quella orale della musica, con la felice metafora dell' iceberg: la parte emersa del blocco do ghiaccio (la musica scritta) è solo un ottavo del tutto, mentre la parte immersa e quindi invisibile (la musica di tradizione orale) è di gran lunga la più vasta ed è quindi doveroso per la ricerca tenerla in considerazione; ma a volte è possibile che la parte visibile lasci intravedere elementi della parte sommersa, ossia della gran quantità della musica non scritta.

Molta musica italiana dal due al quattrocento rivela elementi, per così dire, non artistici, o meglio che lasciano intuire tecniche compositive derivate da una pratica improvvisativa o procedimenti mnemonici tipiche delle culture di tradizione orale; emblematici sono i saltarelli trecenteschi, alcune laudi di Cortona, molti brani liturgici e paraliturgici di polifonia cosiddetta arcaica.

Questo programma intende proporre una sorta di paesaggio sonoro comparato dell' Italia musicale, un percorso storico geografico nei vari aspetti della storia musicale di Firenze e del centro Italia, così come delle città venete e lombarde, in un costante confronto con ciò che di più arcaico è rimasto nella musica tradizionale italiana, il canto polivocale della settimana santa: testimonianze di un sapere sonoro e poetico diffuso che, insieme alle composizioni più artistiche rimaste nella cultura scritta, costituiscono il cuore antico dell' estetica musicale italiana, secoli fa scritta e cantata a Firenze e oggi, sfidando l'omologazione dei tempi moderni, cantata e tramandata oralmente a Montedoro in Sicilia.

Il suono della voce come la pietra, che divide l' esterno dall' interno, la città - luogo sicuro e rifugio - dall' incognito che abita i boschi, dove l' albero è archetipo ancestrale e simbolo stesso della tradizione e della memoria.