Visitatio Sepulchri / Ensemble Oktoechos · Schola gregoriana di Venezia
Uffici Drammatici della Passione e del Tempo di Pasqua nella Cattedrale di Padova, secoli XII-XV



IMAGEN

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Tactus TC 100007
2004







Venerdi Santo
Adorazione della Croce

01 - impoperia. Popule meus   [12:06]
02 - antifona. Crucem tuam   [2:15]
03 - inno. Crux fidelis  (Venanzio Fortunato)   [7:36]
04 - sequenza. Planctus Mariae   [12:23]

Sabato Santo
Ufficium in nocte Resurrectionis

05 - responsorio. Dum transisset sabbatum   [4:00]
06 - dramma liturgico. Nos mulieres   [9:19]
07 - antifona. Dicant nunc Judei   [2:01]
08 - inno. Te Deum   [5:20]

Domenica di Resurrezione
09 - inno. Salve festa dies  (Venanzio Fortunato)   [5:33]




Ensemble Oktoechos · Schola gregoriana di Venezia
Lanfranco Menga

Letizia Butterin (6), Deborah De Blasi, Monica Falconio, Milli Fullin, Alessandra Vavasori (4),
Massimo Bisson, Antonio Bortolami (1), Angelo De Leonardis (4), Riccardo Drusi (2),
Roberto Girolin, Nicola Lamon (5), Diego Mazzaro (6).


Registrazione: Gennaio 2004
Chiesa di S.Maria dei Servi, Padova - Italia
PRIMA REGISTRAZIONE MONDIALE
Tecnico del suono, Editing e Mastering: Marco Frezzato
Direttore della Registrazione: Marco Frezzato








Padova e Cividale sono i due centri dell'Italia nord-orientale che conservano le testimonianze più consistenti e interessanti delle rappresentazioni drammatiche che, durante il Medioevo, accompagnavano le celebrazioni liturgiche. Nella cattedrale di Padova, in particolare, gli uffici drammatici costituirono una pratica persistente ed estesa, che si può ricostruire attraverso una serie di fonti manoscritte dei secoli XIII-XV conservate nella Biblioteca Capitolare presso la Curia vescovile: il Liber Ordinarius ms. E57 (sec. XIII) e i due Processionali mss. C55 e C56 (sec. XIV-XV).

Nel ricco e vario repertorio liturgico-musicale della tradizione padovana, spiccano per dimensione e qualità i canti destinati al triduo sacro e alla Visitatio sepulchri. Durante la celebrazione dell'ufficio pasquale, infatti, quando il mistero della passione si svela nel trionfo della resurrezione, il rito celebrato nella cattedrale si trasformava in un vero e proprio dramma liturgico, recitato e cantato da attori, con il supporto di una messinscena adeguata agli avvenimenti rappresentati.

L'origine della Visitado sepulchri risale ai primi decenni del sec. X, quando il testo dialogato del Quem quæritis in sepulchro, utilizzato come tropo all'introito della messa di Pasqua, ad esempio nei monasteri benedettini di San Marziale di Limoges (Paris, Bibliothèque Nationale, ms. lat. 1240) e di San Gallo (Sankt Gallen, Stiftsbibliothek, ms. 484), fu introdotto anche nell'ufficiatura del Mattutino dopo l' ultimo responsorio, Dum transisset sabbatum, e prima del Te Deum conclusivo. Con questa funzione, il Quem quæritis è rubricato nella Regularis Concordia (London, British Museum, ms. Cotton Tiberius A. III), dove sono indicate precise modalità per rappresentare la visita delle Marie al sepolcro. Il testo, che riprende disposizioni già presenti nelle Consuetudines del monastero di Fleury (= St. Benoît-sur-Loire), descrive le azioni svolte dai chierici e prevede un'apposita messinscena, con l'uso di lenzuola (linteamina) e di una tenda (velum) appesa davanti all'altare che funge da sepolcro.

Nella fase iniziale (= Visitatio I), la rappresentazione si riduceva al canto del testo del Quem quæritis e dell'antifona Surrexit dominus, come testimoniano gli esempi provenienti dai monasteri di St. Emeran a Ratisbona (Bamberg, Staatsbibliothek, ms. lit. 6) e di St. Alban a Magonza (Vienna, Nationalbibliothek, ms. 1888). Nel Tropario di Winchester (Oxford, Bodleian Library, ms. 775), invece, risulta aggiunta una seconda antifona, Venite et videte locum, che risulta rubricata anche nella Regularis Concordia.

In seguito, tra i secoli XI e XII si affermò una lezione più sviluppata (= Visitatio II), con una marcata accentuazione dei caratteri drammatici della cerimonia e una maggiore articolazione del dialogo, come dimostrano l'introduzione della corsa sceneggiata degli apostoli Pietro e Giovanni e l'aggiunta delle antifone Currebant duo, Cernitis o socii e Surrexit enim (Udine, Biblioteca Arcivescovile, ms. 234). L'estensione del materiale dialogico giunse ad includere anche testi extraliturgici, come l'antifona Dicant nunc Iudæi (Einsiedeln, Stiftsbibliothek, ms. 366).

Rispetto a questa tradizione, le fonti che documentano la Visitatio sepulchri celebrata nella cattedrale di Padova sono più tarde, ma esse testimoniano un rito ormai compiuto e stabile, coerentemente strutturato nei singoli aspetti. Pur nella sostanziale fedeltà ai testi originari, la lezione padovana del dramma della resurrezione risulta arricchita di nuove intonazioni, presuppone una regia circostanziata e si presenta come parte integrante di una celebrazione liturgica più ampia e unitaria, che incomincia con la Depositio crucis, prosegue con l'Elevatio crucis e, quindi, con la Visitatio sepulchri, per concludersi con la processione che precede la missa maior del giorno di Pasqua.

L'ampia rappresentazione ha luogo nella cattedrale e inizia il venerdì santo con l'adorazione della croce, quando i suddiaconi, riuniti con il vescovo dietro l'altare maggiore, prendono la croce coperta da un drappo e, assieme al cantor, si dirigono in coro, davanti all'altare. Poi scendono dal presbiterio «a latere aquilonis» e posizionano la croce prima «iuxta pergum», successivamente ad gradus davanti all'altare della Santa Croce, collocato al centro del transetto sub podiolo ante chorum. Infine, dopo essere stata scoperta, la croce viene posta «super pavimentum» della chiesa per essere adorata e baciata dai presenti. Durante l'esposizione, due sacerdoti che seguono la croce intonano gli Improperia e due scolari «discalciati», uno dietro e l'altro davanti la croce, rispondono ad ogni versetto cantando in ginocchio Agyos, che il coro, a sua volta inginocchiato «cum populo», completa eseguendo Sanctus Deus. Nei due Processionali C55 e C56 l'adorazione e il bacio della croce sono introdotti dal canto dell'antifona Crucem tuam. Segue poi l'inno Crux fidelis intonato da due chierici ai quali i cantori, suddivisi in due semicori, rispondono in forma responsoriale, alternando alle singole strofe i versetti Crux fidelis e Dulce lignum. A questo punto C55 e C56 prescrivono il canto del testo Flete, fideles anima, un lungo planctus eseguito dalla Madonna in dialogo con l'apostolo Giovanni. Nell'Ordinario E57, invece, è rubricato il rito della comunione, per cui un diacono e due suddiaconi devono prelevare l'ostia, il calice e le ampolle dell'acqua e del vino dalla sacrestia maggiore per portarli, assieme al magister scholarum, all'altare della Santa Croce, cantando «submissa voce» l'antifona In spiritu humilitatis. Conclusa la comunione, il vescovo prende la croce e, accompagnato da tutto il clero, la depone nel sepolcro predisposto presso l'altare di S. Daniele, nel lato meridionale del transetto, cantando il responsorio Vadis propiciator. Al termine del rito, il vescovo da in custodia il sepolcro al sacrista e tutti ritornano in coro, cantando «submissa voce» il responsorio Sepulto domino.

Nella notte della resurrezione, quando ha inizio la celebrazione del Mattutino della festa di Pasqua, i custodi prelevano la croce dal sepolcro e, «dimisso pallio», la collocano sopra l'altare della Santa Croce. Dopo le letture, il coro dei chierici scende «in corpore ecclesie», portando dei ceri ed eseguendo il responsorio Dum transisset sabbatum. Terminato il responsorio, tre scolari vestiti come fossero le tre Marie si dirigono al sepolcro di Cristo con un turibolo e degli unguenti, accompagnati dal magister scholarum o dal cantor e intonando «plana voce» il verso Nos mulieres. Così cantando, le tre Marie attraversano il coro dei chierici e raggiungono l'altare di S. Daniele dove, «superius» vicino al sepolcro di Cristo, si trovano due scolari vestiti come due angeli preparati «cum alis et liliis» fra le mani. Quando le donne giungono al sepolcro, gli angeli intonano il dialogo Quem quæritis in sepulchro, dopo il quale in C55 e C56 segue il planctus di Maria Maddalena, O Ihesu, rex sceculorum. All'annuncio della resurrezione, gli angeli scendono per le scale «versus aquilonem», mentre le Marie salgono al sepolcro lungo le scale «versus meridiem» e, non trovando il corpo di Cristo, prendono il drappo che ricopriva la croce, si dirigono verso l'ingresso dell'altare di S. Daniele, «ad cancellos», e lo espongono alla vista di tutti come prova del Cristo risorto, cantando l'antifona Surrexit dominus. Subito dopo il magister scholarum e il cantor intonano il verso Dic nobis Maria, che viene alternato in forma responsoriale alle strofe successive della sequenza di Pasqua cantata da Maria Maddalena e conclusa dal coro. Dopo la sequenza, E57 prescrive che due chierici intonino l'antifona Dicant nunc Iudæi presso l'altare di San Daniele. Conclude la celebrazione del Mattutino l'esecuzione del Te Deum, che tutto il clero della cattedrale deve cantare mentre fa ritorno in coro.

Dopo il canto delle Lodi e prima della messa solenne, il giorno di Pasqua è prevista una solenne processione che coinvolge il vescovo, i ministri impegnati nella celebrazione, i chorarii e gli scolari. Il rito inizia davanti l'altare maggiore della cattedrale, dove due chierici intonano l'antifona Populus adquisitionis, rivolti verso il clero e l'assemblea dei fedeli. Il coro risponde con l'antifona Christus resurgens ex mortuis e il vescovo asperge i presenti intonando l'antifona Vidi aquam, cantata dal coro. Tutti si dirigono processionalmente al battistero, mentre due accoliti seguono la croce alternandosi in forma responsoriale con il coro nel canto dell'inno Salve, festa dies. Usciti dal battistero, il cantor inizia l'antifona Sedit angelus ad sepulchrum e la processione fa ritorno in cattedrale «a foribus versus orientem», cioè dall'ingresso principale, mentre due canonici o due chierici che hanno preso posizione presso l'altare della Santa Croce cantano l'antifona Crucifixum in cruce laudate, alla quale risponde il coro con Nolite metuere. Dall'altare di san Daniele, altri due chierici intervengono cantando l'antifona Recordamini quomodo predixit e, ancora una volta, risponde il coro con il canto dell'Alleluia. Dopo di che, inizia la celebrazione della messa.

I testi e i canti per la celebrazione dei drammi pasquali sono molto caratteristici, ma non devono intendersi come indicativi del repertorio liturgico in uso nella cattedrale di Padova, che invece risulta sostanzialmente fedele all'ordo romano. L'elemento di vera specificità, messo in evidenza anche dalla tipologia della Visitado sepulchri, sta invece nell'idea di una liturgia fondata sull'interrelazione tra lectio, actio e cantus, dove coloro che cantano assumono la rappresentanza dell'intera comunità orante. Il ruolo dei cantores deriva dal marcato valore rappresentativo attribuito ai riti e il canto costituisce il mezzo espressivo più adatto ad una liturgia di azione, realizzata per essere dimostrazione concreta del mistero. Per questa ragione, tutto il clero della cattedrale è tenuto a svolgere il proprio ruolo in canto e il suo coinvolgimento in questo ministero non è limitato a momenti particolari, ma è continuo e deriva dal fatto che l'insieme dei riti celebrati nella cattedrale costituisce una rappresentazione, per cui gli elementi di drammatizzazione non rimangono circoscritti ad alcune celebrazioni liturgiche, ma risultano una costante. Si pub capire, così, anche il probabile motivo della persistenza dei drammi liturgici, ben oltre i limiti della riforma romano-francescana avvenuta nel sec. XIII. Questo genere di testi e canti, infatti, non rappresenta una tarda sopravvivenza, perché si tratta di un repertorio in piena sintonia con le esigenze di una liturgia che, nella sua globalità, ha continuato a privilegiare la rappresentazione, attribuendo alla celebrazione dei riti un forte significato rievocativo.

Antonio Lovato



Le ragioni di una scelta

Quando decidemmo di procedere allo studio del repertorio medievale della Cattedrale di Padova eravamo convinti di trovarci di fronte ad un patrimonio particolarmente interessante spesso trascurato a vantaggio di quello ben più frequentato di Cividale; ma ancora non ci erano ben chiari i problemi esecutivi che una tale operazione di recupero potesse comportare.

Lo spiccato senso della drammaturgia contenuto nei codici liturgico-musicali patavini creava subito un problema discriminante: o cercare di seguire pedissequamente le rubriche complesse e molto legate alla realtà del tempo nonchè agli spazi della Cattedrale medievale oggi non più esistente, oppure tentare un recupero dello "spirito" di tali musiche che avevano come scopo preciso il raggiungimento di una estrema consapevolezza liturgica e spirituale da parte del clero e dei fedeli.

La soluzione scelta fu la seconda: infatti oggi risulterebbe un po' strano, ma soprattutto comico se non irriverente, durante gli austeri Riti del Venerdì Santo, far cantare un uomo che, in abiti femminili, interpreta il ruolo di Maria ai piedi della Croce; analogo discorso vale per le tre Marie al Sepolcro. Nel Medioevo era inconcepibile far cantare uomini e donne insieme nel Presbiterio e quindi i ruoli solisti-ci femminili venivano affidati di solito a giovani chierici o addirittura ai «pueri»: noi abbiamo preferito una attualizzazione più vicina alla nostra sensibilità, tenendo anche conto del fatto di muoverci in un ambito ormai extraliturgico; inoltre una ricostruzione rigidamente fedele alle rubriche avrebbe richiesto un organico praticamente doppio rispetto al nostro.

Recuperare oggi questo repertorio, più che con una ricostruzione di tipo museale, ha un senso se gli ascoltatori, ma direi anche gli interpreti, riescono ad immedesimarsi completamente nei complessi Riti della Settimana Santa così ricchi di pathos e di richiami simbolici, che la drammaturgia più o meno esplicita della tradizione patavina che li accompagna rende più efficaci.

Tolti gli orpelli di un facile filologismo di maniera si scopre in queste musiche una vitalità capace ancora oggi di coinvolgere, di commuovere, di far riflettere: in questi tempi di desolazione e liturgica e musicale non è poco!

Lanfranco Menga