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Arcana 34
junio de 1994
abadía benedictina de Sesto al Reghena
Laude di Sancta Maria
Veillée de chants
de dévotion dans l'Italie des Communes
01 - Venite a laudare [5:39]
voix 1 2 3 4 5 6 7 8
02 - Ave Maria (antifona)
[3:05]
voix 1 2 3 4 5 6 7 8
03 - Verbum Patris hodie
[1:09]
voix 1 2 3 4 5 6 7 8
04 - Die ti salvi Regina
[3:45]
voix 5 6 7 8, vielle 3
05 - Voi ch'amate [5:11]
voix 1 2 3 4, luth, vielle 3, cornetto, organistum
06 - Or piangiamo [7:14]
voix 1 2 3 3 4 5 6 7 8, luth, vielles 2 3, harpe,
cornetto, organistum
07 - Dulcis Jesu memoria ~ Jesu nostra
redemptio [2:21]
voix 5 6 7
08 - Onne homo [6:44]
voix 1 2 3 4 5 6 7 8, symphonia
09 - Diana stella [3:02]
pièce instrumentale de D. D. Sherwin
luth, flûte à bec, vielle 3, harp, percussion
10 - Chi vuol lo mondo [3:05]
voix 5 6 7 8, vielles 2 3, percussion
11 - Troppo perde'l tempo
[6:10]
voix 1 2 3 4 5 6 7 8, luth, flûte à bec,
vielle 3, harpe, percussion
12 - Ortorum virentium ~ Virga Yesse
[1:05]
voix 1 2 3 4
13 - Con la madre [3:44]
voix 1 2 3 4, luth, harp, cornetto, cloche 8
14 - Ave maris stella (inno)
[3:09]
voix 1 2 3 4 5 6 7 8
15 - Ave Donna sanctissima
[7:06]
voix 1 2 3 4 5 6 7 8, percussion
16 - Assumpta est Maria
[2:40]
voix 1 2 3 4 5 6 7 8
17 - Ave Regina gloriosa
[6:18]
voix 1 2 3 4 5 6 7 8, flûte à bec, vielle 3, harpe,
percussion, cloches 1 7 8 9
Cortona, Bibl. Comunale e dell'Accademia
Etrusca, MS 91
Firenze, MS. Magliabechiano, BR 18
Antiphonale romanum
La Reverdie
1 Claudia Caffagni · voix, luth, cloche
2 Livia Caffani · voix, vielle, flûte à
bec
3 Elisabetta de' Mircovich · voix, vielle, symphonia
4 Ella de' Mircovich · voix, harpe gothique
5 Doron David Sherwin · voix, cornetto, percussions
6 Sergio Foresti · voix
7 Roberto Spremulli · voix, cloche
8 Matteo Zenatti · voix, cloche
con
Klaus L Neumman (9) · cloche
Paolo Zerbinatti · organistum
Laude di Sancta
Maria
E se si cantassero
le laude chiunqua le cantasse u stesse a udire, per ciascuna volta arae
di perdono die CXL.
da «Perdoni e gratie delle fraternite della vergine Maria»
(elenco delle indulgenze concesse nel 1304 alle congregazioni mariane
della zona di Pisa dal cardinal legato Nicola da Prato e
dall'arcivescovo di Pisa Giovanni de Polo)
Il repertorio della lauda monodica, benché rimasto a tutt'oggi
in una certa qual «zona d'ombra» - a paragone di altri
generi di monodia medievale in lingua volgare - è stato
valorizzato da una nutrita ricerca letteraria e musicologica nella sua
importanza storica ed artistica, quale fenomeno emergente di quel
tradizionale melos popolare che caratterizza, quasi come tratto
antropologico, l'essenza della musicalità italiana. Tale
ricerca, avviata sin dagli inizi del secolo, impostata con maggior
rigore dal Liuzzi, e successivamente alimentata dai contributi di
eminenti studiosi, per lo più italiani, è stata
recentemente arricchita, approfondita negli aspetti storici e
sociologici e resa accessibile ad un più vasto pubblico dall'
autorevole saggio «Music and Merchants - The Laudesi Companies of
Republican Florence» (Oxford 1992) di Blake Wilson, il quale
ricostruisce con estrema precisione le fasi storiche che portarono alla
nascita e allo sviluppo delle compagnie dei laudesi, analizzando
inoltre tutti i documenti utili a valutare la portata sociale,
religiosa e culturale della loro attività.
E' questa l'opera che ha offerto spunto alla nostra ideale
ricostruzione di una Vigilia alle Laude, e dalla quale abbiamo
attinto le principali notizie riguardanti le caratteristiche di tale
pratica devozionale laica a Firenze, città che può essere
presa a «campione» per l'analisi di un fenomeno che
interessò numerosi Comuni italiani dal XIII secolo in poi.
Alla base del fenomeno fu l'esigenza tipicamente «moderna»
-caratteristica dell'età dei Comuni ma diffusa in tutta Europa-
di un approccio più diretto alla conoscenza della dottrina
cristiana e alla attività di preghiera comunitaria da parte di
fasce sempre più ampie della società. Se l'Alto Medio Evo
era stato caratterizzato da una netta separazione e specializzazione
dei compiti di religiosi, contadini e nobili, con l'esplodere delle
attività produttive, la nascita dei Comuni e di una nuova classe
di intraprendenti artigiani e commercianti, questo rigido ordinamento
sociale perde la sua ragione d'essere e il clima di maggiore
libertà individuale favorisce un nuovo tipo di fervore
religioso. Non a caso nascono proprio nel Duecento i primi ordini
predicatori e mendicanti, impensabili al di fuori di un contesto
cittadino e inizialmente anche un po' sospetti, considerando la loro
'rivoluzionaria' caratteristica di povertà e mobilità, in
contrasto con le consolidate regole degli ordini monastici,
autosufficienti nella loro clausura. Ma fu proprio a questi nuovi
Ordini, soprattutto ai Francescani e ai Domenicani, la Chiesa si
appoggiò in seguito nel suo duplice intento di salvaguardare
l'integrità della dottrina dall'incontrollata diffusione di
individualistiche interpretazioni della Scrittura, che alimentavano
movimenti più o meno consapevolmente eretici in seno alla
cristianità, e di coltivare e indirizzare al meglio il nuovo
fervore religioso laico che veniva ad arricchire l'intera
società con la sua spiritualità genuina e dirompente
quanto estranea alle profonde disquisizioni teologiche dei monasteri e
delle Universitates.
E' dunque in un clima saturo di tensioni sociali e di rinnovamento
spirituale che si inserisce l'opera del predicatore-inquisitore
domenicano Pietro da Verona, grazie al quale il fenomeno delle
associazioni laiche a scopi religiosi si diffuse rapidamente in larghi
strati della società florentina.
Inviato dal Papa Innocenzo IV nel 1244 per combattere l'eresia
càtara a Firenze, Pietro da Verona fondò le prime
confraternite laiche di devozione mariana insistendo, nella sua opera
di predicatore, sulla maternità divina di Maria (contro l'eresia
càtara che negava la divinità del Cristo incarnato),
sulla sua opera di Mediatrice presso Dio e di Custode della vera fede.
La devozione mariana, promossa in seguito dagli ordini predicatori
locali e diffusa anche in altre città (fra cui, importanti,
Siena e Cortona), rivelò subito la sua forza trascinante
ispirando un gran numero di confraternite. Nel giro di una ventina
d'anni non solo l'eresia càtara a Firenze si estinse senza
drammi, ma ebbe inizio anche, fra le forze produttive e mercantili
della città e il partito filopapale, una feconda collaborazione
che permise, ad esempio, la costruzione di Santa Maria del Fiore, di
Palazzo Vecchio e delle più importanti chiese degli Ordini
predicatori. Intorno al 1270, sul modello delle confraternite mariane
che in questa fase di pace perdono la iniziale funzione
«militante», nascono le compagnie dei laudesi e dei
disciplinati, caratterizzate da «regole» impegnative
(assistere alla Messa quotidianamente, praticare una forma attiva di
devozione nello spirito della sequela Christi, coltivare la
propria crescita spirituale assistendo regolarmente alle prediche) e da
un'organizzazione delle attività sul modello delle corporazioni
mercantili. Laudesi e disciplinati però, come osserva Wilson,
radicati entrambi nella spiritualità degli ordini mendicanti, ne
rappresentavano le due correnti opposte e complementari di lode
e penitenza. Dei due aspetti coesistenti nella vita dello
spirito, individuati da San Tommaso come gioia per la bontà di
Dio e dolore per l'inadeguatezza umana, i laudesi si ispirano
più al primo, mentre i Disciplinati ne accentuano il secondo:
solo durante la Settimana Santa i repertori gioiosi dei laudesi
assumono i motivi penitenziali della devozione disciplinata. Inoltre,
mentre quest'ultima riuniva in confraternite esclusivamente maschili i
giovani esponenti della nobiltà fiorentina (dediti a una vita
ritirata e a pratiche di preghiera ispirate alla liturgia monastica),
nelle compagnie dei laudesi, più eterogenee, confluivano i
membri delle classi artigiane e mercantili, e anche le donne erano
ammesse a prendere parte alle attività devozionali.
L'impostazione stessa delle attività dei laudesi era tutta
rivolta verso il 'sociale' : dalle pratiche di carità
organizzata e indirizzata a far partecipi del 'bene comune' i membri
più poveri della società fiorentina (ammalati, vedove,
orfani, anziani, ragazze prive di dote), alle cerimonie solenni,
annunciate per tutta la città e celebrate presso gli altari
delle chiese più importanti. L'impostazione più
'democratica' si riflette inoltre nell'uso della lingua vernacola per i
canti.
Solo a Firenze si contano ben 12 compagnie di Laudesi operanti almeno
fino al XV secolo; ognuna possedeva un proprio tesoro di oggetti d'uso
paraliturgico per lo svolgimento sia delle veglie di preghiera (vigilie
alle laude'), che si svolgevano tutte le sere, sia delle celebrazioni
più fastose in occasione delle ricorrenze più importanti:
anzitutto una o più immagini della Madonna o dei Santi
protettori cui la Compagnia dedicava particolare devozione, poi
paramenti d'altare, candelabri, leggii, e infine i libri dei canti
devozionali, di svariate misure: quelli piccoli per l'uso quotidiano
dei laudesi, quelli grandi, spesso miniati, per
«rappresentanza». La scrupolosa cura dedicata alla
qualità degli oggetti e ai particolari cerimoniali suggerisce
una forma di emulazione nei confronti della liturgia vera e propria,
una sorta di riscatto di quelle fasce della società che alla
liturgia ufficiale potevano solo assistere dall'esterno. Emulando la
fastosità del libri liturgici, furono compilati e riccamente
miniati i manoscritti BR18 della Biblioteca Nazionale Centrale di
Firenze (ex. ms. Magliabechiano II.I.122) e il Ms. 91
della Biblioteca Comunale e dell'Accademia Etrusca di Cortona: gli
unici due pervenutici completi del testo musicale. Cort. 91,
appartenuto alla Compagnia di Sancta Maria delle laude operante
presso la chiesa di S. Francesco a Cortona e risalente all'ultimo
trentennio del Duecento, raccoglie 45 laude; BR 18, appartenuto alla
fiorentina Compagnia di Sancto Spirito attiva nell' omonima
chiesa agostiniana, risale ai primi del Trecento e raccoglie 89 laude
musicate, 10 mottetti polifonici latini (nello stile dell'Ars Antiqua)
e alcuni noti inni e sequenze gregoriane.
Dal punto di vista letterario, se si rileva una certa rozzezza di
metro, rima, e spesso addirittura di sintassi e di grammatica (al
paragone con le coeve, raffinatissime cantigas di Re Alfonso el
Sabio), non si può tuttavia negare il fascino di una lingua
«vissuta», immediata, impreziosita dalle sfumature della
parlata locale: rara, genuina espressione di una lirica veramente
popolare, sovranamente incurante di rigide costrizioni formali e a
volte assai divertente nell'aggirarle.
Molte laude si trovano in entrambi i manoscritti, e dal confronto fra
le diverse versioni risulta già evidente un'evoluzione di stile
e di gusto: rispetto al codice cortonese si nota, in BR 18, una
tendenza a ridurre il numero delle strofe e un accresciuto virtuosismo
melodico, spiegabile con la progressiva
«professionalizzazione» nelle esecuzioni delle laude. Con
l'interesse sempre maggiore per il valore estetico-musicale della
pratica delle laude andava infatti diffondendosi l'uso di pagare
musicisti di professione (esterni alla compagnia) che sapessero cantare
e suonare (gli strumenti menzionati nei libri contabili sono organo
portativo, liuto, viella, ribeca, arpa; per le occasioni solenni
trombe, pifferi e tamburi) e fossero in grado di 'guidare' le
esecuzioni dei laudesi, fino a quando, più avanti, non vi si
sostituiranno quasi completamente.
Nonostante questa evoluzione stilistica e la provenienza da diverse
aree culturali, la formulazione del nostro programma vuole sottolineare
l'unità estetica e spirituale' delle due raccolte, accostando 5
laude cortonesi a 5 laude fiorentine secondo un criterio tematico
legato ai tempi forti dell'Anno Liturgico, che costituisce la struttura
portante di entrambi i manoscritti.
Lungo quel cammino spirituale costellato di stationes e mysteria
che è l'Anno Liturgico si svolgeva infatti, parallela alla vita
della Chiesa, anche l'attività devozionale dei laudesi, in cui
gli eventi liturgici venivano «meditati» e interiorizzati
nel canto, nella preghiera, nell'ascolto dell'omelia, nella pratica
penitenziale del Confiteor e nella partecipazione alla Messa.
La «nostra» Vigilia alle Laude si configura come una sorta
di «veglia archetipale» in cui un' ipotetica confraternita
di laudesi ripercorre l'intero maestoso circuito di un Anno Liturgico,
comprimendolo — con l'intensissima emozione che una simile
«concentrazione» di Eventi Sacri inevitabilmente produce
— entro il domestico spazio temporale di una notte.
Abbiamo inoltre voluto fare nostro un aspetto importante della
sensibilità religiosa medievale, tanto legata all'uso simbolico
dei numeri, creando un'«unità architettonica»
intorno al mistero della Croce, accostando 5 gruppi di 3 brani relativi
ad altrettanti 5 misteri, con al centro un mottetto cristologico latino
(tratto, come gli altri mottetti e i brani gregoriani, dal repertorio
sicuramente eseguito dalla Compagnia di Santo Spirito), secondo lo
schema :
Mistero dell'Incarnazione e della Natività (1-3)
Mistero della Passione e Morte (4-6)
«Jesu nostra redemptio» (7)
Mistero della Croce al centro della sequela Christi (8-10)
Mistero della Risurrezione (11-13)
Mistero dell'Assunzione di Maria (14-16)
La scansione in 5 misteri ricalca la meditazione dei Misteri Gaudiosi,
Dolorosi e Gloriosi nella recita del Rosario, che conobbe in
quest'epoca una grandissima diffusione, fino a diventare emblema della
religiosità popolare.
La collocazione centrale, isolata, di un mottetto cristologico è
simbolica della funzione cristocentrica della devozione mariana,
così come veniva divulgata dagli ordini predicatori: al centro
della vita di Maria (dall'Annunciazione alla Assunzione) sta la Croce
di Cristo, e il significato teologico di Maria come corredentrice sta
nel portare Cristo nel mondo per essere crocifisso e di portare il
mondo ai piedi della Croce per essere salvato.
E così, tramite la chiave preziosa — squisitamente
medievale — del simbolo, che spalanca porte apparentemente chiuse
e disvela e chiarifica concetti apparentemente inesprimibili ed
irrappresentabili, si è mirato ad indurre quell'immedesimazione
visionaria attraverso gli «occhi dell'anima», cui si
appella nelle Meditationes vita, Christi un francescano toscano
del Trecento, e che rappresentava lo strumento principe tanto
dell'ordinaria meditazione quotidiana quanto dell'«ascesi»
tesa, in senso letterale, verso le più eccelse vette spirituali.
E quello che può succedere a chi fino ad esse s'inerpica, lo
leggiamo, ad esempio, in Santa Brigida di Svezia (1303-1373) che
attraverso gli «occhi dell'anima» giunge a
«vedere» «un'altare che era nell'albergo della
Maestà... quasi fosse in una chiesa nel mondo... e
allorché si giunse alle parole con le quali viene consacrato il
pane, vidi che il Sole, la Luna, le Stelle, e insieme tutti i Pianeti e
tutti i Cieli con i loro moti concentrici si univano a turno in una
soave melodia. Sì, ogni sorta di canti giungevano all'orecchio,
e alla vista si presentavano innumerevoli strumenti, la cui dolcissima
sonorità è impossibile concepire od esprimere”.
Nel raccogliere questa sfida a concepire l'inconcepibile ed esprimere
l'inesprimibile, ci si è avventurati consapevolmente in quello
che si potrebbe definire un esperimento di «filologia
dell'emozione». Partendo dai relativamente scarsi frammenti (i
testi, le melodie) di accertata evidenza storica che costituiscono
materia prima di ogni attendibile ricostruzione archeologica, si
è proceduto integrando quegli imponderabili tasselli mancanti
che solo una profonda adesione spirituale all'estetica del
«mosaico originale» può dar modo di sognare,
suggerire, evocare in forma nuovamente significante.
In questa direzione si collocano tutte le nostre scelte artistiche, a
partire dalla prima e fondamentale: l'interpretazione ritmica della
notazione quadrata originale; interpretazione, la nostra, per certi
aspetti innovativa rispetto ai criteri finora proposti dagli
specialisti, e che consente sia una indispensabile, chiara
caratterizzazione dei motivi melodici ricorrenti, sia la scioltezza
ritmica necessaria ad una ben comprensibile declamazione 'drammatica'
dei testi.
Allo stesso modo, il nostro uso dello strumentario non è
meramente funzionale all'accompagnamento del canto ma, pur attingendo
esclusivamente al materiale melodico originale, ha finito per caricarsi
di valenze emozionali che a tratti si materializzano in vere e proprie
«meditazioni sonore», ed aspirano ad evocare nell'uditorio
quella totalizzante esperienza mistica e comunitaria che garantiva un
sempre rinnovato slancio vitale all'apparente routine delle
veglie di laude.
LIVIA CAFFAGNI e ELLA de'MIRCOVICH
La chiesa Abbaziale
di S. MARIA IN SYLVIS è una grande costruzione romanica
armoniosa e singolare. Sviluppa un grande atrio del quale si accede
alla chiesa a tre navate: con cripta e presbiterio soprelevato. Il
vestibolo e il quadriportico sono ornati da dipinti a fresco e sinopie
risalenti ai sec. XII, XIII, XIV e XV. L'abside il tiburio e altre
parti del presbiterio conservano un ciclo di affreschi di scuola
giottesca tra i più significativi del Friuli.