Svso in Italia bella / La Reverdie
Musique dans les cours & cloîtres de l'Italie du Nord





medieval.org
Arcana A 38
— 1995
Arcana A 320— 2009







1. Paolino d'AQUILEIA, 740-802. Versus de Herico duce [10:09]
Berne, Stadtbibliothek, Ms. 394 — v 1 2 3 4, citara

2. [3:25]
Cividale, Biblioteca Comunale, C. II
O lylium convallium | v 1 3 4
Submersus iacet Pharao | v 1 3 4, arpa 3, citara
anonimi di Aquileia, X s.
Cividale, Biblioteca Comunale, C. II

3. Uc di SAINT CIRC, XIII s.. Tres enemics [9:27]
v 3, arpa 3 4

4. Rudolf von FENIS, XIII s.. Gewan ich ze Minnen [5:14]
Donaueschingen, Fürstliche Fürstenbergische Bibliothek, Ms. 210 — v 5, viella 2 3

5. En mort d'En Joan de Cucanh [5:55]
v 4, liuto, flauto, viella 3 7, arpa 4, percussione
aonyme, 1272, Cividale, Archivio Capitolare



Jacopo da BOLOGNA, fl. 1335-1360

6. Lux purpurata ~ Diligite justitiam [2:22]
per la visita di un legato pontificio a Luchino Visconti, 1343
Padova, Biblioteca Universitaria, Ms 1475 — v 3 4 5, liuto, viella 2, rebec

7. O in Italia felice Liguria [2:26]
Paris, Bibliothèque Nationale, MS nouv. acq. frç. 6771 — v 3 4, liuto, viella 2

8. O in Italia felice Liguria [2:56]
versione strumentale di Doron David Sherwin — flauto, cornetto muto

9. Nel bel giardino che l'Adige [4:57]
Paris, Bibliothèque Nationale, Ms. f. ital. 568 — v 3 4, flauto, rebec, cornetto muto, viella 7



10. Pyrançe la Bella Yguana [3:24]
versione strumentale di Elisabetta de Mircovich — liuto, flauto, rebec, arpa 4, viella 7, percussione

11. Vincenzo da RIMINI, seconda metà XIV s. Nell'acqua chiara [2:53]
London, British Library, MS Add. 29987 — caccia · v 3 4 5

12. anonimo veneziano, XIV s. La nobil scala [2:31]
Paris, Bibliothèque Nationale, MS Nouv. acq. frç. 6771 — madrigale · liuto, rebec, viella 7

13. Marchetto da PADOVA, XIV s. Ave Corpus Sanctum [3:14]
Venezia, Monastero di San Giorgio — v 3 4 5, tromba da tirarsi

14. Bartolino da PADOVA, fine XIV s. Imperial sedendo [4:49]
Paris, Bibliothèque Nationale, fonds it., 568 — v 3 4

15. anonimo, inizio XV s. Imperial sedendo [4:31]
Faenza, Biblioteca Comunale, Cod. 117 — liuto, viella 2, arpa 4

16. Matteo da PERUGIA, attr., XIV-XV s. Rondeau sans texte [3:20]
Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Ms. Panciatichiano 26, fol. 16v — liuto, viella 2, rebec, arpa 4, cornetto muto

17. Antonio da CIVIDALE, inizio XIV s. Strenua quam duxit ~ Gaudeat & tanti [2:48]
Oxford, Bodleian Library, Ms. Canon. Misc. 213 — v 3 4 5, liuto, viella 2







LA REVERDIE

1  Claudia Caffagni · liuto, voce
2  Livia Caffani · flauti dolci, viella, voce
3  Elisabetta de' Mircovich · voce, rebec, arpa, viella
4  Ella de' Mircovich · voce, arpa, citara
5  Doron David Sherwin · voice, cornetto muto, percussioni
6  Mauro Morini · tromba da tirarsi
7  Claudia Pasetto · viella



Les Instruments

Luth
Ivo Magherini, Rome (I), 1988
Harpes médiévales Paolo Zerbinatti, San Marco di Mereto di Tomba (I), 1988
Cithara teutonica Paolo Zerbinatti, San Marco di Mereto di Tomba (I), 1987
Rebec Paolo Zerbinatti, San Marco di Mereto di Tomba (I), 1989
Cometto Henri Gohin, Boissy l'Aillerie (F), 1991
Vielle Paolo Zerbinatti, San Marco di Mereto di Tomba (I), 1994
Vielle Sandra Fadel, Valmadrera (I), 1989
Flûte soprano en ut F. Delessert, Fribourg (CH), 1983
Flûte ténor en ut C. Collier, Berkeley (USA), 1984
Tambour traditionnel iranien
Trompette à coulisse Piergabriele Callegari, Bologna (I), 1995
Cloches Whitechapel Bell Foundry (GB), 1994

Tous les instruments à cordes sont montés de cordes Aquila Corde Armoniche, par Mirruno Peruffo, Vicenza (I).

Enregistrement réalisé à l'abbaye bénédictine de Sesto al Reghena, du 18 au 22 avril 1995
par les soins de Charlotte Gilart de Keranflec'h
Montage numérique: Charlotte Gilart de Keranflec'h
Production: Michel Bernstein et Klaus L Neumann
COPRODUCTION ARCANA
WESTDEUTSCHER RUNDFUNK (WDR) KÖLN





Arcana A 320






«Suso in Italia bella giace un laco
a piè dell'alpe che serra Lamagna
sovra Tiralli, ch'ha nome Benaco.
Per mille fonti, credo, e più si bagna,
fra Garda e Val Camonica a pennino
dell'acqua che nel detto laco stagna.
Luogo è nel mezzo là dove'l Trentino
pastore e quel di Brescia e'l Veronese
segnar poria, se fesse quel cammino».

(Inferno, XX, 61-9)


«Kenrist du das Land, wo die Zitronen bluehen,
Im dunkeln Laub die Gold-Orangen glühn?«

(J. W. Goethe: Wilhelm Meister, III, 1)


I limoni — se si eccettuano le notevoli ma circoscritte eccezioni delle riviere ligure e gardesana — non prosperano spontaneamente nella metà settentrionale d'Italia; o, perlomeno, non fioriscono in quell'entità che le pittoresche banalizzazioni geografiche dell'immaginario collettivo definiscono «Italia del Nord». Per coloro, italiani inclusi, che nel corso di due secoli si sono lasciati cullare dalla celebre ed armoniosa approssimazione della romanza goethiana, l'Italia, «quella vera», tende a cominciare a sud dell'Appennino. La favoleggiata Italia del sogno, mediterranea, nobilmente classica, luminosa antitesi alle brume settentrionali, ha spesso finito per sostituirsi ai due fondamentali blocchi geografici, culturali e sociali che convivono — completandosi vicendevolmente ma non perciò fondendosi — in quella che è l'Italia attuale.

E' questa, s'intende, una premessa destinata a coloro che pressoché inconsciamente, per una sorta di vezzo o piuttosto di pregiudizio intellettuale, tendono a considerare la metà d'Italia sprovvista di limoni endemici come una sorta d'appendice minore delle grandi province rinascimentali umbrotoscane, o di frangia vagamente barbarica delle trascorse glorie di Roma o della Magna Grecia.

Si tratta di un mito geografico che ha goduto di particolar voga nel periodo Romantico, pur non essendo in sé una trovata esclusivamente romantica: se procediamo a considerare lo specifico campo d'interesse di questo nostro dossier storico-musicale, ci accorgiamo che il Medioevo, pur con la sua venerazione per il Passato — classico o presunto tale — in quanto gigante sulle cui palle il nano Presente è appollaiato, aveva ben più chiara concettualmente la fondamentale bipartizione dell'Italia. Non venne mai effettivamente meno la sistematizzazione amministrativa sovrapposta da Diocleziano alla preesistente (= anteriore alla dominazione romana) «duplicità» della penisola. Suddividendo quest'ultima nei due Vicariati di Roma e Milano l'imperatore istituzionalizzò, con la nettezza un tantino schematica dell'ordine politico, quella che il Bartoli (Saggi di linguistica spaziale, Torino, 1945) chiama la «...divisione non solo economica ed amministrativa, ma anche, ciò che più conta, spirituale.., riaffiorano lo spirito gallico nell'Italia Settentrionale, e similmente, nell'Italia Meridionale, lo spirito greco».

Questo limes si mantenne sostanzialmente immutato anche dopo la cristianizzazione dell'Impero, fungendo da delimitazione delle arcidiocesi di Roma e Ravenna. Paolo Diacono riassume tersamente, coll'usuale ossequio per gli antiqui «E' risaputo che gli storiografi hanno indicato l'insieme di Liguria (nell'antica accezione di Lombardia / Piemonte! Liguria, n.d.r.), Veneto, Emilia e Flaminia (i.e. Romagna) col nome di Gallia Cisalpina» (Historia Langobardorum,11, 23).

Dante vedeva l'Italia tagliata in due dallo spartiacque appenninico (De Vulgari Eloquentia, I, X, 6), raggruppando entro la sezione settentrionale Marca Anconitana, Romagna, Lombardia, Emilia, Marca Trevigiana con Venezia, Friuli con Aquileia, Istria. Come si può constatare, nell'arco di sei secoli (all'incirca il medesimo coperto dalle musiche della presente antologia) la caratterizzazione territoriale dell'entità «Italia Settentrionale» non si era modificata granché. Questa identità peculiare, ora riconosciuta ora negletta nel corso dei secoli, è stata recentemente messa in luce ed analizzata dagli storici — perlopiù non italiani, forse avvantaggiati dall'obbiettività che una certa qual extraterritorialità può conferire. Così si pronuncia R. Bartlett (The Making Of Europe, Harmondsworth, 1993): «L' «europeizzazione» dell'Europa... ebbe il suo nucleo in una circoscritta parte del continente, comprendente la Francia, la Germania ad ovest dell'Elba, ed il Norditalia... I pellegrini che da Milano si recavano a Roma trovavano una città incommensurabilmente ricca di antiche tradizioni imperiali, venerabili ossa e chiese: eppure non stavano certo spostandosi da una periferia culturale ed economica verso il centro». J. K. Hyde (Society And Politics In Medieval Italy, London, 1973) aveva ancor più selettivamente focalizzato il proprio obiettivo «suso in Italia» : «Fu in quest'area a nord di Roma e sino alle Alpi che la società italiana medievale con le sue specifiche caratteristiche ebbe modo di evolversi compiutamente e di raggiungere il massimo splendore».

Questo Norditalia, apparente astrazione ma in realtà componente a pienissimo titolo del 'centro motore' dell'Europa medievale, oltre a possedere un'innegabile, cronologicamente e spazialmente ben circoscrivibile unità geografica, ne poteva vantare anche una spirituale: certo più elusiva, meno chiaramente delimitabile, ma non per ciò meno effettiva. Evidentemente, non ci si può ora avventurare in un'esplorazione esaustiva della «nordicità» italiana: ci limiteremo perciò ad isolare e sottolineare, entro l'universo culturale della vecchia Gallia Cisalpina, due costanti che riaffiorano con insistenza lungo tutti i summenzionati secoli. Costanti delle quali è tutto sottilmente soffuso il dantesco passo eponimo di questa raccolta, nel quale Virgilio (in questo frangente norditaliano prima che «romano», e forse per un istante, nella fantasia di Dante, piuttosto che il poeta classico il sapiente-mago-profeta della tradizione letteraria nordeuropea) narra il mito dell'esotica fondazione della sua Mantova, tracciando la mappa poetica delle plaghe alpine e padane.





La prima costante già affiora nel puntiglio con cui si tiene a non evocare un confine che si erga a mo' di baluardo fra la «patria» e la «diversità», indistinta e «barbarica» (nell'originaria accezione xenofoba di «blaterante», «incomprensibile»): le Alpi non sono qui tanto una provvidenziale diga arginante la barbarie germanica, quanto la via di comunicazione fra luoghi a Dante ben noti ed un' altrettanto correttamente, quasi familiarmente ben identificata area alemanno-tirolese.

L'inequivocabile appartenenza ad un più ampio bacino europeo, il cosmopolitismo culturale e linguistico sono stati, per l'Italia del Nord, prima ed oltre che una vocazione ed una moda un destino geografico. Le Alpi non l'hanno mai «separata» dai fermenti storici che vi si riversavano contro da nord, finendo inevitabilmente per traboccare, in ruscelli o in ondate di piena, attraverso i loro passi e lungo le loro valli. Le hanno valicate ad esempio (dopo la pioniera tebana Manto fondatrice della Mantova virgiliana, s'intende) Longobardi e Franchi, con un bagaglio d' idiomi e cultura che ha interagito attivamente col substrato che l'ha fagocitato. Come non sentirne ancora l'eco negli arcaici, suggestivi discanti d'Aquileia, che paiono ancora custodire l'atmosfera del tvésang tipico di quel milieu scandinavo dal quale i Longobardi avevano originariamente preso le mosse?

Quale più esemplare testimonianza di autentica, naturalissima «europeità» di quel commovente, disarmantemente ed ingenuamente erudito capolavoro che è il compianto sulla morte di Erico del Friuli? Anche sforzandosi di prescindere dal suo fascino prettamente musicale, tanto sinuoso ed al tempo stesso tanto misteriosamente aderente alle austere armonie modulari numeriche del testo poetico, sarebbe ben arduo trovare, se non nell' «universalismo» carolingio, un'opera così stupefacente ed eclettica. Scritta nel 799, nella lingua di Roma, da un patriarca d'Aquileia, ad eterna memoria di un margravio franco trapiantato in territorio ex-longobardo (Erico non doveva peraltro essere un mecenate indegno di cotanto tributo, considerando che il dotto Paolino gli aveva già dedicato, anni addietro, il suo Liber Exortationis): un'opera nella quale, fra echi di fallacia patetica precristiana e biblica (v. il compianto di David su Saul, o le kvidhur scaldiche) e toccanti accenti personali si spazia sovranamente entro un ambito geografico che già ingloba tutta quella che oggi definiremmo «Mitteleuropa». Quanto alla — stimolantemente enigmatica — possibile destinazione pratica di un simile unicum, è giocoforza pensare a quel che Bruno Staeblein chiamava «intrattenimento clericale paraliturgico».

Molto differente, benché anch'esso indissolubilmente legato all'incessante risacca storica infrangentesi contro le Alpi, l'itinerario personale, artistico e politico intrapreso da tanti autori provenzali, che agli inizi del Tredicesimo secolo, sospinti dalle tristi vicende della sedicente «crociata» albigese nonché dal progressivo declino d'interesse in patria perla lirica occitana, varcarono anch'essi la pacifica frontiera alpina. «Particolarmente attratti dal fasto e dalle virtù cavalleresche delle aule feudali italiane molto simili, nel Nord, a quelle aristocratiche della Provenza, vi fecero brevi o lunghe dimore ... Presero vivo interesse alle vicende d'Italia, ispirarono spesso i loro versi agli eventi politici, rispecchiando la vita e il costume e riflettendo i vari atteggiamenti dell'opinione pubblica di fronte agli avvenimenti contemporanei... Dai trovatori occitanici gli italiani appresero l'arte del trobar e, divenuti esperti in essa, composero molto abilmente». Così G. Toja (Trovatori di Provenza e d'Italia, Parma, 1965) condensa in poche righe il rimarchevole fenomeno di cross-fertilization culturale che arricchì il Norditalia degli arditi sirventesi del lombardo Sordello (poeta di corte e collega d' avventure dei turbolenti trevigiani Da Romano), delle burlesche ostilità italo-provenzali in versi fra il marchese di Lunigiana e Raimbaut de Vaqueiras, delle celebri vidas di Uc di Saint Circ (anche lui della cerchia del colto e crudele Alberico Da Romano, e presente nella nostra antologia con un'accorata perorazione d'amor infelice affidata alla par di lui cosmopolita comtessa Beatrice di Savoia, consorte di Raimondo Berengario di Provenza), nonché degli innumerevoli exploits in lingua d'oc di tanti poeti italiani che, come l'anonimo autore friulano del vibrante compianto su Joan de Cucanh, scelsero quale veicolo privilegiato d'espressione un idioma d'oltralpe.

E ancor più difficilmente definibile, se non, un' ennesima volta, con l'epiteto «europeo» il caso del conte alemanno-valdostano Rudolf von Fenis und Neuenburg, la cui complessa identità linguistica e culturale (come, tre secoli dopo, quella di Oswald von Wolkenstein / Selva di Val Gardena) acquista una collocazione plausibile esclusivamente all'interno di quel «nucleo di europeizzazione dell'Europa» del quale abbiamo già letto in Bartlett (v. supra).





Il secondo leitmotiv norditaliano i cui riflessi musicali abbiamo scelto di verificare va individuato nella pervasiva ricorrenza di echi classici (sempre filtrati attraverso un'inconfondibile ottica per così dire «cortese», che sarebbe vano cercare più a nord o più a sud applicata ad un simile contesto), che nella musica cerimoniale di quest'area (v. Lux purpurata, O in Italia felice Liguria, La nobil scala, Ave corpus, Strenua quem duxit, per fare solo alcuni esempi) tendono ad assumere i toni di un civismo fiero e viscerale, che identifica lo Stato con la Res Publica, Cosa Pubblica nel senso più fortemente emozionale del termine. Nella terra dei Comuni prima, e delle Signorie profondamente radicate nel tessuto cittadino poi, emerge imperiosa anche nel repertorio celebrativo la consapevolezza sociale di una comunità «di cittadini e non di sudditi» (Hyde, op. dt). Entro un' area in cui, sin dal periodo precarolingio, s'erano esaltate in latino, con compiaciuto e solenne campanilismo, le glorie (preromane, rammentiamolo) delle proprie ben fortificate città (vedi i Versus de Mediotano o De Verona civitate, o ancora l'altrettanto altero inno della milizia cittadina modenese nel Decimo secolo) persino un fenomeno squisitamente autocratico come quello del trapasso Comune / Signoria segui un cursus distintivo. «L'autorità dei despoti del Norditalia in generale poteva vantare perlomeno un'apparenza di legalità... Come i grandi Stati nazionali del Nordeuropa, anche se in miniatura, quelli dell'Italia settentrionale erano venuti a costituirsi quali centri autosufficienti di potere secolare, le cui basi ultime poggiavano saldamente sulla prosperità locale e sull'indipendenza militare» (M. H. Keen, History Of Medieval Europe, Harmondsworth, 1969).

In merito a queste musiche di una laica liturgia del Buon Governo, classicamente idealizzato ed al tempo stesso perennemente irrisolto nel contrasto con l'insopprimibile individualismo italiano, ci piace concludere con le autorevoli e sempre attuali frasi di G. Duby (Fondements d'un nouvel humanisme, Parigi 1976): «Le repubbliche urbane esaltavano il volto civico della potenza ... L'unità dei cittadini avrebbe conferito alla città una gloria sfolgorante: e tale gloria si manifestava in imprese monumentali (nulla di più ovvio di tradurre, in termini musicali, il termine «monumento» con «mottetto isoritmico» o «madrigale celebrativo», n.d.r.) realizzate col denaro comune ed affidate ad artisti designati per concorso ... In seguito tale funzione di sintesi culturale divenne soprattutto appannaggio delle corti dei «tiranni» dell'Italia settentrionale. I principi usurpatori della signoria dei Comuni urbani si atteggiavano a modelli di cavalleria e d'eleganza, e come i signori d'Oltralpe erano appassionati di cavalli, di cani e dei giochi dell'intrigo d'amore... erano però molto più sensibili alla gloria dell'antica Roma di quanto non lo si fosse a Parigi: sotto le mani di artisti impiegati dai signori di Milano o dai patrizi di Venezia si perfezionarono le tecniche illusionistiche dell'arte antica, e più facilmente che in qualunque altro luogo la resa realistica si fece largo fra gli arabeschi della cultura cortese».

Emblematicamente, il nuovo fiore che sbocciò da queste sementi sul suolo norditaliano fu quel che si designa tecnicamente, in campo figurativo, come l'Ouvraige de Lombardie (termine che peraltro sarebbe più che lecito ed agevole trasferire anche alla coeva, raffinatissima ma mai leziosa, produzione musicale). «Ouvraige de Lombardie» è definizione che s'incontra inizialmente negli inventari commerciali di quel ricercato collezionista d'arte che fu il Duca di Berry: e vale la pena di dedicarvi una brevissima meditazione di congedo. Letteralmente non significa altro che «manifattura», «produzione tipica della Lombardia» («Lombardia» nel senso esteso di Padania, di Gallia Cisalpina, per tornare là donde siamo partiti). Eppure, a pensarci bene, è anche il primo, e il più nobile, manifestarsi di quel che oggi prosaicamente chiamiamo made in Italy, e che ha ammaliato ed arricchito l'Europa, della quale è scaturigine a pieno titolo.

Nel nostro caso, «suso» nell'ancor bella Italia dantesca, questo made in Italy medievale, questo inconfondibile ouvraige de Lombardie capace di trasfigurare in squisite favole cortesi gli importati miti classici, e di riciclare poeticamente le arcaiche, precristiane Yguane/Melusine che ancora infestavano il Veneto stilnovista (Nel bel giardin che l'Adige) o il becero chiassare dei pescatori del delta padano (Nell'acqua chiara) non è altro che marchio di fabbrica, lo spirito distintivo ed inconfondibile della metà forse più lontana dal Mediterraneo, ma certo più vicina, oggi come allora, al resto d'Europa.

ELLA DE MIRCOVICH